[47,2] Si suol dire che la resistenza stimola e dà forze di
compire, e condurre a fine quello che si è tentato. Ora io soggiungo che
spessissimo se io senza resistenza avrei fatto dieci, sopraggiunta la resistenza
farò quindici e venti. E questo spesso di assoluta e determinata volontà, non
già per soprabbondanza meccanica degli effetti della forza impiegata maggiore
del bisognevole per la resistenza incontrata, e non contrappesata diligentemente
alla resistenza, come se io voglio spingere una cosa da un luogo all'altro,
provo che {non} cede alla prima spinta, accresco la
forza, e questa me la caccia più lontano ch'io non voleva. Ma dico per
deliberata volontà. p. e. do una spinta e non giova, un'altra e non fa, la terza
parimente, alla fine mi piglia la rabbia, acchiappo la cosa colle mani, {e} la strascino molto più in là ch'io non voleva prima
ch'ella andasse, e volendo ch'ella stia dove dee, bisogna che la riporti {indietro} al luogo conveniente, e così fo. E la distanza
alla quale l'ho portata è spesso più che doppia ed anche tripla di quella a cui
la voleva spingere. Questo accade perch'io allora non considero più e non ho per
fine della mia azione, di farla andare in quel tal luogo, ma propriamente di
vincere e vendicare quella resistenza, e mostrare la superiorità del mio volere
e della mia forza sopra il suo volere e la sua forza, la quale tanto più si
dimostra, e la vendetta e la vittoria è tanto maggiore quanto io la porto più
lontano, e insomma volti allora a quel fine miriamo alla perfezione di esso che
così si conseguisce, e perciò non c'importa che veniamo a nuocere a quel primo
fine del quale effettivamente in quel punto siamo dimenticati. Applico ora
questo caso fisico ai morali.