29. Giugno, dì di San Pietro, mio natalizio. 1822.
[2500,2] Per qual cagione il barbarismo reca inevitabilmente
agli scritti tanta trivialità di sapore, e ripugna sì dirittamente all'eleganza?
Intendo per barbarismo l'uso di parole o modi stranieri, che non sieno affatto
alieni e discordi dall'indole della propria lingua, e degli orecchi nazionali, e
delle abitudini ec. Perocchè
2501 se noi usassimo p. e.
delle costruzioni tedesche, o delle parole con terminazioni arabiche o indiane,
o delle congiugazioni ebraiche o cose simili, non ci sarebbe bisogno di cercare
perchè questi barbarismi ripugnassero all'eleganza, quando sarebbero in
contraddizione e sconvenienza col resto della favella, e cogli abiti nazionali.
Ma intendo di quei barbarismi quali sono p. e. nell'italiano i gallicismi (cioè
parole o modi francesi italianizzati, e non già trasportati p. e. colle stesse
forme e terminazioni e pronunziazioni francesi, chè questo pure sarebbe fuor del
caso e della quistione). E domando perchè il barbarismo così definito e inteso,
distrugga affatto l'eleganza delle scritture.
[2501,1] Certo è che non ripugna alla natura nè delle lingue,
nè degli uomini, nè delle cose, e non è contrario ai principii eterni ed
essenziali dell'eleganza, del bello ec. che gli uomini di una nazione esprimano
un certo maggiore o minor numero d'idee
2502 con parole
e modi appresi e ricevuti da un'altra nazione, che sia seco loro in istretto e
frequente commercio, com'è appunto la Francia rispetto a noi (ed
anche agli altri europei) per la letteratura, per le mode, per la mercatura
eziandio, e generalmente per l'influenza che ha la società e lo spirito di
quella nazione su di tutta la colta europa. Torno a dire che
questo non ripugna naturalmente al bello, se quelle voci e modi non sono di
forma assolutamente discorde e ripugnante alle forme della propria lingua. E
tale si è appunto il caso nostro. Bisogna dunque cercare {un'altra cagione fuori della natura generale e immutabile,} perchè
questo barbarismo distrugga sensibilmente l'eleganza, e non possa stare seco
lei. Egli è pur certo, e tutti i maestri dell'arte l'insegnano e raccomandano, e
io l'ho spiegato e dimostrato altrove [p. 1324]
[p.
1337]
pp. 1806-807
pp. 1917-20 , che non
solo il pellegrino giova all'eleganza, ma questa non ne può
2503 fare a meno, e non viene da altro se non da un parlare ritirato
alquanto (più o meno) dall'uso ordinario, sia nelle parole, sia ne' loro
significati, sia ne' loro accoppiamenti, nelle metafore, negli aggiunti, nelle
frasi, nelle costruzioni, nella forma intera del discorso ec. Or come dunque il
barbarismo, ch'è un parlar pellegrino, il barbarismo dico, quando anche non
ripugni dirittamente, anzi punto, all'indole generale e all'essenza della
lingua, nè all'orecchio e all'uso de' nazionali, in luogo di riuscirci elegante,
ci riesce precisamente il contrario, e incompatibile coll'eleganza? Ecco com'io
la discorro.
[2503,1] I primi scrittori e formatori di qualsivoglia
lingua, e fondatori di qualsivoglia letteratura, non solo non fuggirono il
barbarismo, ma lo cercarono. {+V. Caro, Apologia, p. 23-40. cioè
l'introduzione del Predella.} Tolsero voci e modi {e
forme e metafore e maniere di stile e costruzioni ec.} (e questo in
gran copia) dalle lingue madri, dalle sorelle, e anche dalle affatto aliene,
2504 massimamente se a queste, benchè aliene,
apparteneva quella letteratura sulla quale essi si modellavano, e dalla quale
venivano derivando e imparavano a fabbricar la loro. Dante è pieno di barbarismi, cioè di maniere e voci
tolte non solo dal latino, ma dall'altre lingue o dialetti ch'avevano una tal
qual dimestichezza o commercio colla nostra nazione, e in particolare di
provenzalismi (che vengono ad essere appunto {presso a
poco} i gallicismi, tanto abominevoli oggidì); de' quali abbondano
parimente gli altri trecentisti, e i ducentisti ec. Di barbarismi abbonda Omero, com'è bene osservato dagli
eruditi: di barbarismi Erodoto: di
barbarismi i primi scrittori francesi ec.
[2504,1] E non è mica da credere nè che questi barbarismi de'
primi e classici scrittori, fossero, a quei tempi, comuni nella loro nazione, ed
essi scrittori si lasciassero strascinar dall'uso corrente; ne che gli usassero
e introducessero per solo bisogno, o per arricchir
2505
la {loro} lingua di parole e modi economicamente utili. Gli usarono, come si può
facilmente scoprire, per espresso fine di essere eleganti col mezzo di un parlar
pellegrino, e ritirato dal volgare. E sebben furono costretti, volendo essere
intesi, a usar gran parte delle voci e modi correnti, e formarne il corpo della
loro scrittura, pur molto volentieri e con predilezione s'appigliarono quando
poterono alle voci e modi forestieri, per parlare alla peregrina, e per dare al
loro modo di dire un non so che di raro, ch'è insomma l'eleganza. E p. e. di
Dante, si vede chiaramente ch'egli
si studiò di parlare a' suoi compatrioti co' modi e vocaboli provenzali, a
cagione che la nazion provenzale era allora la più colta, ed aveva una specie di
letteratura, abbastanza nota in italia, e che rendeva la
lingua provenzale così domestica agl'italiani colti, che le sue parole o frasi,
italianizzandole, non erano enigmi
2506 per loro, e
così poco volgare che le dette voci e frasi non erano ordinariamente nella loro
bocca (come non lo sono ora le latine che p. e. i poeti derivano di nuovo
nell'italiano, e che tutti intendono), nè in quella del popolo: il quale però
eziandio era sufficientemente disposto ad intenderle (senza perdere il piacere
del pellegrino) a causa delle canzoni provenzali, amorose ec. ch'andavano molto
in giro, e si cantavano ec. Or dunque da queste canzoni, e dalla letteratura e
dalla lingua provenzale tirò Dante molte
voci e modi per essere elegante: e ci riuscì {allora;}
e con tutti questi che oggi si chiamerebbero barbarismi, sì egli, come Omero, e tali altri scrittori primitivi,
s'hanno da per tutto per classici, e taluni per eleganti; o se s'hanno per
ineleganti, viene piuttosto dall'arcaismo che dal barbarismo.
[2506,1] In somma il barbarismo, quando è veramente un parlar
pellegrino, e che non ripugna ec. come sopra, e che s'intende, è
2507 sempre (da qualunque lingua sia tolto, rispetto
alla lingua propria) non solo compatibile coll'eleganza, ma vera fonte di
eleganza.
[2507,1] Cresciuta, formata, stabilita la lingua, e la
letteratura {+di una nazione,}
interviene le più volte, che introducendosi il commercio fra questa ed altre
lingue e letterature, parte l'uso, e l'assuefazione di udire voci e modi
forestieri, parte la necessità di riceverne insieme cogli oggetti coi libri coi
gusti cogli usi colle idee che da' forestieri si ricevono, parte l'amor delle
cose straniere e la sazietà delle proprie, ch'è naturale a tutti gli uomini
sempre inclinati alla novità (v. Omero
Odiss. 1. v. 351-2.), parte fors'anche
altre cagioni riempiono la favella nazionale di voci e modi forestieri in guisa
che appoco appoco, dimenticate o disusate le voci e maniere proprie, divien più
facile il parlare e lo scrivere con quelle de' forestieri, che s'hanno più alla
mano, e s'usano più giornalmente, e più familiarmente. Ed ecco un'altra volta
introdotto il barbarismo nella lingua
2508 e
letteratura nazionale, ma per tutt'altra cagione e fine, e con tutt'altro
effetto che l'eleganza e l'arricchimento loro. Quanto all'arricchimento, questo
è il punto in cui la lingua nazionale comincia a scadere e scemare
sensibilmente, e impoverirsi, e indebolirsi fino al segno che dimenticate e
antiquate la maggiore o certo grandissima parte delle sue voci e modi, e anche
delle sue facoltà, ella non ha più forza nè capacità di supplire ai bisogni del
linguaggio, e di fornire un discorso del suo, senza ricorrere al forestiero.
{+(E la nostra lingua è già vicina a
questo segno, non solo per le ricchezze proprie ch'avrebbe dovuto venire
acquistando, e non l'ha fatto, ma anche per quelle infinite ch'aveva già, ed
ha perdute, e molte irrecuperabilmente).} E così dico della
letteratura.
[2508,1] Quanto poi all'eleganza, quelle voci e modi, non
essendo più pellegrini, non sono più eleganti. Anzi non c'è cosa più volgare e ordinaria di quelle voci e
modi forestieri. Come accade appunto in
italia
oggidì, che non si può nè parlare nè
scrivere in un italiano più volgare e corrente, che parlando e scrivendo in
un italiano alla francese.
2509 Il che è ben
naturale e conseguente, secondo le cagioni che ho assegnate, le quali
introducono questo secondo barbarismo
in una lingua. Perocchè esse l'introducono ed influiscono {direttamente,} non negli scritti de' grandi letterati e degli uomini
di vero e raffinato buon gusto (come ho detto di quel primo barbarismo) ma nella favella quotidiana, e da
questa passa il barbarismo nei libri degli scrittorelli che non istudiano, non
sanno, non conoscono, e neanche cercano, nè si vogliono affaticare ad indagare
altra lingua da quella che son soliti di parlare, e sentire a parlar
giornalmente, e non si saprebbero esprimere in altro modo, nè possiedono altre
voci e forme di dire. Di più seguono ed approvano (secondo il poco e stolto loro
giudizio) l'uso corrente, la moda ec. ed accattano l'applauso e la lode del
volgo, e si compiacciono di quella misera novità, e vogliono passar per autori
alla moda: così che oltre all'ignoranza, li porta al
2510 barbarismo anche la volontà, ed il cattivo loro giudizio; e l'esempio gli
strascina ec. Di più formandosi a scrivere sui soli o quasi soli libri stranieri
divulgati nella loro nazione, non conoscono altre voci, frasi, e maniere di
stile, che quelle di que' libri, o non si vogliono impazzire a scambiarle
coll'equivalenti nazionali, che non hanno punto alla mano. E così imbrattano
sempre più la lingua e letteratura nazionale di cose forestiere, anche oltre
all'uso della favella ordinaria de' loro compatrioti.
[2510,1] Introdotto così, e fondato e propagato in una lingua
il barbarismo per la seconda volta, la stessa sua propagazione lo rende
inelegante al contrario della prima volta. Perocchè allora la lingua volgare non
è quella che si chiama così e ch'è veramente nazionale, ma è quella barbara e
maccheronica che si parla e scrive ordinariamente, e però chi scrive alla
forestiera, scrive volgarissimo, e quindi inelegantissimo.
[2511,1]
2511 Dov'è da notare che allora il barbarismo non è
contrario all'eleganza come forestiero: chè anzi il forestiero ben inteso da'
nazionali, e non affettato, è sempre
elegante. Ma per l'opposto è inelegante come volgare.
[2511,2] E laddove la prima volta, quand'esso non era
volgare, riusciva elegante, e più elegante di quel ch'era nazionale, questa
seconda volta il puro nazionale riesce molto più elegante del forestiero, non
{già} come puro nè come nazionale (chè queste
qualità non furono mai cagione di eleganza), ma come non volgare, come ritirato
dall'uso corrente e domestico, come proprio oramai de' soli scrittori, e questi
anche pochi.
[2511,3] Ecco che la purità della favella è divenuta quasi
sinonimo dell'eleganza della medesima: e questo con verità e con ragione, ma non
per altro, se non perch'essa purità è divenuta pellegrina.
[2511,4] Così quelle voci e modi che una volta
2512 perchè familiari alla nazione non erano eleganti,
anzi fuggite dagli scrittori di stil nobile ed elevato, o che tali pretendevano
di essere; divengono già elegantissime e graziosissime perchè da una parte si
riconoscono ancora facilmente per nazionali, e quindi sono intese subito da
tutti, come per una certa memoria fresca, e non riescono affettate, dall'altra
parte non sono più correnti nell'uso quotidiano. E così anche le parole {e maniere} una volta trivialissime e plebee nella
nazione, aspirano all'onor di eleganti, e lo conseguiscono, come si potrebbe
mostrare per mille esempi di voci e frasi individue.
[2512,1] In somma oggi, p. e. fra noi, chi scrive con purità,
scrive elegante, perchè chi scrive italiano in italia scrive pellegrino, e
chi scrive forestiero in italia scrive volgare.
[2512,2] Dal che si deve abbatter l'errore di quelli che
pretendono che v'abbia principii fissi ed eterni dell'eleganza. {V.
la pag. 2521. sulla
fine.} Non v'ha principio fisso dell'eleganza, se non
questo (o
2513 altro simile) che non si dà eleganza
senza pellegrino. Come non v'ha principio eterno del bello se non che il bello è
convenienza. Ma come è mutabile l'idea della convenienza, così è variabile il
pellegrino, e quindi è variabile l'eleganza reale, effettiva {e concreta,} benchè l'eleganza astratta sia invariabile. Nè purità nè
altra tal qualità delle parole o frasi, sono principii certi ed eterni
dell'eleganza d'esse voci o frasi individue. Ineleganti una volta, divengono poi
eleganti, e poi di nuovo ineleganti, secondo ch'esse sono o non sono pellegrine,
giusta quelle tali condizioni del pellegrino, stabilite di sopra.
[2513,1] Queste verità sono confermate dalla storia di
qualunque letteratura e lingua. La purità dell'Atticismo non divenne un pregio
nell'idea de' greci, nè fu sinonimo d'eleganza presso loro, se non dopo che i
greci ebbero a udire ed usare familiarmente voci e frasi forestiere. Omero, Erodoto, Senofonte medesimo
(specchio d'Atticismo) erano
2514 stati elegantissimi
con voci e frasi forestiere, poco usate da' greci de' loro tempi; anzi per mezzo
appunto d'esse voci e frasi, fra l'altre cose. Non si pregia la purità, nè anche
si nomina, se non dopo la corruzione, cioè quand'essa e[è] pellegrina. E prima della corruzione si pregia il
forestiero perchè pellegrino. Ennio,
Plauto, Terenzio, Lucrezio ec. specchi della eleganza latina, son pieni di grecismi,
cioè di barbarismi. Al tempo di Cicerone, di Orazio, e molto più
di Seneca, di Frontone ec. che l'italia parlava già mezzo
greco, erano sorti i zelanti della purità, e il grecismo lodato in Plauto e in Cecilio
Oraz.
ad Pison.) era impugnato ne' moderni, e
proibito affatto da' pedanti, e usato con moderazione dai savi, e Cicerone se ne scusa spesso, e loda ed
ama e deplora la purità dell'antico sermone, e la favella di sua nonna, ch'al
tempo di sua nonna tutti i buoni scrittori posponevano al grecismo, quanto
potevano
2515 farlo senza riuscire oscuri presso un
popolo allora ignorante del forestiero, e del greco, e delle voci e frasi che
non fossero nazionali. Dal che, e non da altro, e forse dalla stessa poca loro
perizia del greco, nacque che gli antichi scrittori latini, benchè abbondanti di
grecismi e barbarismi, pur si riputassero e fossero modelli del puro sermone
Romano, rispetto agli scrittori più moderni. E lo stesso dico degli antichi
italiani.
[2515,1] E quella ricchissima, {fecondissima,} potentissima, regolatissima, e al tempo stesso {variatissima, poetichissima e} naturalissima lingua del
cinquecento, ch'a noi (ne' suoi buoni scrittori) riesce così elegante, forse
ch'allora fu tenuta per tale? Signor no, ma per corrotta. E la buona lingua si
stimava solo quella del trecento, {+e se
ne deplorava la mutazione, chiamandola corruzione e scadimento totale della
lingua, (come noi facciamo rispetto al 500),} e gli scrittori tanto
più s'avevano eleganti, quanto meno scrivevano nella lingua loro per iscrivere
in quella di quell'altro secolo. Laddove a noi, a' quali l'una e l'altra è
divenuta pellegrina, tanto più piacciono i cinquecentisti quanto più seguono
l'uso
2516 del loro secolo, e meno imitano il trecento.
Ed è ben ragionevole perchè allora solo possono esser naturali e di vena, come è
il Caro che non fu mai imitatore.
{+(È notabile che di parecchi
cinquecentisti, le lettere dov'essi ponevano meno studio, e che stimavano
essi medesimi di lingua impurissima, mentr'era quella del loro secolo, sono
più grate a leggersi, e di migliore stile che l'altre opere, dove si
volevano accostare alla lingua del trecento, mentre nelle lettere usavano la
lingua loro, e riescono per noi elegantissimi e naturalissimi.). V. p. 2525.} Ma anche nel
cinquecento non si stimava veramente elegante se non il pellegrino, e lo
trovavano e cercavano nella lingua del trecento, che sola chiamavano pura,
quando per noi è purissima quella del cinquecento. V. Salviati, Avvertim. della lingua, citati nelle op. del Casa, Venezia 1752. t. 3. p.
323. fine - 324. Nel trecento poi nemmen si parlava di purità, nè si
poneva tra i pregi della lingua o dello scrivere; e la lingua del loro secolo
non si stimava elegante (se non forse alcune smancerie fiorentine, di cui parla il Passavanti, e queste credo piuttosto che
s'amassero nel resto di Toscana o d'italia, che in
Firenze, come accade veramente anche oggi): e quelli scrittori che più si
stimavano eleganti, e che tali si credevano o pretendevano essi medesimi, erano
non quelli che oggi più s'ammirano per la naturalezza e la semplicità, e che
2517 in somma usavano più puramente la lingua nazionale
o patria del tempo loro, ma quelli che oggi meno s'apprezzano, cioè che la
fornivano di parole e modi forestieri, e che si studiavano di tirarla alle forme
d'altre lingue, e d'altri stili, come fece il Boccaccio rispetto al latino, e come anche Dante, la cui lingua, s'è pura per noi, che misuriamo
la purità coll'autorità, niuno certamente avrebbe chiamato pura a quei tempi,
s'avessero pensato allora alla purità{{, e gli stessi
cinquecentisti non erano}}
{+molto inchinati a stimarlo tale, nè ad
accordargli un[un'] assoluta autorità e voto
decisivo in fatto di purità di lingua, restringendosi piuttosto al Petr. e al Boc.
V. Caro
Apolog. p. 28. fine ec.
Lett. 172. t. 2. e se vuoi, anche il Galateo del Casa
circa la stima ch'allora si faceva di tanto poeta.}
[2517,1] Per le quali considerazioni e confronti, sebbene la
lingua italiana di questo secolo sia bruttissima e pessima per ragioni {{e qualità}} indipendenti dalla purità e dal barbarismo,
cioè perchè povera, monotona, impotente, fredda, inefficace, smorta,
inespressiva, impoetica, inarmonica ec. ec. nondimeno ardisco dire che se gli
scrittori barbari della moderna italia,
arriveranno ai posteri, quando la lingua italiana sarà già in qualunque modo
mutata dalla presente, e se
2518 la prevenzione (che
influisce moltissimo sopra il senso dell'eleganza e del bello in ogni cosa) e il
giudizio del secol nostro non avrà troppa forza ne' futuri, come non l'ha in noi
il giudizio de' cinquecentisti, questa nostra barbara lingua, si stimerà
elegante, e piacerà, perchè divenuta già pellegrina, e forse il Cesarotti ec. passerà per modello
d'eleganza di lingua.
[2518,1] Finalmente non è ella cosa conosciutissima che alla
poesia non solo giova, ma è necessario il pellegrino delle parole delle frasi
delle forme (niente meno che delle idee), per fare il suo stile elegante e
distinto dalla prosa? Non lo dà per precetto Aristotele? (Caro, Apolog. p. 25.). Il
poetico della lingua non è quasi il medesimo che il pellegrino? O certo il
pellegrino non è una qualità poetica nella lingua, e non serve di sua natura a
poetichizzare il linguaggio e lo stile? Or ditemi se nelle poesie italiane
d'oggidì si può trovar cosa più
2519 prosaica delle
voci, {frasi ec.} forestiere? se più triviale, più
ordinaria, in somma più decisamente impoetica e più distruttiva dell'eleganza
del linguaggio, e in maggior contraddizione colla natura dello stil poetico?
Tanto che, riuscendo sempre le dette voci e maniere, inelegantissime nella
prosa, che pur è obbligata a minor eleganza, nella poesia riescono stomachevoli,
e la cambiano affatto di poesia in cattiva prosa, onde osserva il Perticari (De' 300isti), sebbene non con tutta verità,
che il barbarismo insignorito delle prose italiane, pur non mise piede nelle
poesie, come non ci potesse esser poesia con barbarismi. E questo perchè?
essendo il pellegrino così proprio della poesia, ch'ella non ne può far senza?
Perchè, torno a dire, se non perchè tali voci e frasi ec. forestiere, sono
appunto le più volgari, giornaliere, correnti, usuali voci e maniere della
nostra favella presente? e quindi distruttive del pellegrino? e se nuove nella
scrittura o nella poesia, non
2520 nuove, anzi vecchie
nell'uso volgare del discorso, e quindi distruttive della novità ch'è l'uno de'
principali pregi della lingua poetica? Laonde oggi sono eleganti le poesie
scritte nella pura lingua italiana, e spesso anche in quella che una volta fu
poco meno che trivialissima. Non per altro se non perchè quanto più sono
italiane, tanto più dette poesie ci riescono pellegrine.
[2520,1] Concludo che il barbarismo è distruttivo
dell'eleganza, sì della prosa, e sì massimamente della poesia (alla quale più si
richiede il pellegrino), non come pellegrino, nè come semplicemente forestiero,
e contrario alla purità (ch'è un nome astratto, e sempre variabile nella sua
sostanza); ma per lo contrario, come distruttivo del pellegrino, e del nuovo, come volgare, come triviale,
come quello che forma la parte più moderna, e quindi più corrente e ordinaria
della favella. E che la purità è necessaria e giovevole all'eleganza,
2521 non in quanto purità, nè in quanto nazionale ec.
(qualità alienissime dall'eleganza e dalla grazia), ma in quanto pellegrina e
rara, e distinta dall'uso comune, e ritirata dal volgo, e diversa dalla favella giornaliera presente. (il che
viene in somma a dire ch'ella non è {più} veramente
purità, essendo bensì stata, ma non essendo più nazionale. E pure allora
solamente viene in pregio la purità, quando ella non è più tale, cioè quando a
volerla usare, non si usa la vera lingua nazionale corrente. Così lingua pura, è un abuso di parole, in vece di dire,
lingua antica della nazione e degli scrittori
nazionali.) {{V. p.
2529.}}
[2521,1] Tutte le sopraddette osservazioni, e particolarmente
quelle della pagina 2512. fine-13.
si debbono applicare alla teoria della
grazia derivante da quello ch'è fuor dell'uso. Le cagioni
dell'eleganza delle parole o modi sono eterne, ed eternamente le stesse. Ma
niuna parola o frase ec. {+di niuna
lingua,} è perpetuamente elegante,
2522 per
elegantissima che sia o che sia stata una volta, nè viceversa triviale ec:
neanche durando la stessa indole, genio, spirito, carattere, forma ec. di quella
tal lingua. E non solo niuna parola o modo, ma niun genere o classe di parole o
modi.
[2522,1] Spesso una parola è inelegante, o (se si tratta di
verso) impoetica in un senso, ed elegante e poetica in un altro, solamente
perchè in quello è volgare, e in questo no, o poco frequentemente usata. Come
chi dicesse varii in poesia per diversi, parecchi, non peccherebbe contro la
buona lingua, avendovene molti esempi, e fra gli altri del Tasso (Discorso sopra
vari accidenti della sua
vita), ma sarebbe poco elegante, per esser questo significato
della detta parola molto volgare e familiare. Ma chi dicesse, come il Petrarca, varie
di lingue e d'armi e de le
gonne,
*
o come Virgilio
Mille trahit
varios
adverso sole colores,
*
non
s'allontanerebbe punto dall'eleganza, per la ragione
2523 contraria. E notate ch'io non parlo solamente de' sensi metaforici, i quali
possono render poetica una voce usualissima, ed anche impoetichissima, ma parlo
eziandio de' significati propri, come dimostra l'addotto esempio, o {de'} poco meno che propri. E quel che dico delle voci,
dico delle frasi ec. (29. Giugno, dì di San Pietro, mio natalizio.
1822.).