9. Luglio 1823.
[2926,3]
Alla p. 2753.
Ella è anche cosa certissima che in parità di circostanze, l'uomo, ed anche il
giovane,
2927 e altresì il giovane sventurato, è meno
scontento dell'esser suo, della sua condizione, della sua fortuna durante
l'inverno che durante la state; meno impaziente dell'uniformità e della noia,
meno impaziente delle sventure, meno renitente alla sorte e alla necessità, più
rassegnato, meno gravato della vita, più sofferente dell'esistenza, e quasi
riconciliato talvolta con esso lei, {quasi lieto;} meno incapace di concepire come si possa
vivere, e di trovare il modo di passare i suoi giorni: o almeno tutte queste
disposizioni sono in lui più frequenti o più durevoli nell'inverno che nella
state; e spesso abituali in quella stagione, laddove in questa non altro mai che
attuali. Ed anche il giovane abitualmente disperato di se e della vita, si
riposa della sua disperazione durante l'inverno, non che che egli speri più in
questo tempo che negli altri, ma non prova o prova meno efficace il senso di
quella disperazione che radicalmente non può abbandonarlo. Cioè intermette
2928 di desiderare o desidera meno vivamente quelle
cose ch'egli è al tutto e abitualmente e per sempre disperato di conseguire.
Tutto ciò perchè gli spiriti vitali sono manco mobili ed agitati e svegli
nell'inverno che nella state.
[2928,1] Queste considerazioni vanno applicate al carattere
delle nazioni che vivono in diversi climi, di quelle che sogliono passare la più
parte dell'anno al coperto e nell'uso della vita domestica e {{casalinga}} a causa del rigore del clima, e viceversa
ec. (9. Luglio 1823.).
{Veggasi la p. 3347-9. e 3296. marg.
ec.}
