Bologn. 14. Ott. 1826.
[4216,1] Rettorica. Citiamo qui un esempio di acutezza e di
filosofia de' rettorici. Demetrio (rettorico de' più
stimati) περὶ ἑρμηνείας, della elocuzione, sezione 67. parlando delle
figure della {dizione} (σχήματα τῆς λέξεως {+opposte a σχήματα τῆς διανοίας
sententiarum o sententiae: λέξεως verborum.}), le quali non sono altro
che costrutti e frasi fuor di regola, di ragione, d'uso ec. sgrammaticature
*
, direbbe l'Alfieri. Bisogna servirsi di tali figure non in troppa
abbondanza, chè ella è cosa poco elegante, e dà una certa
disuguaglianza al discorso, e fa il discorso disuguale. {Non bisogna tuttavolta usar le
figure a man piena: cosa goffa e che ec.} Gli antichi, i
quali usano però gran quantità di figure, riescono nel dir loro più
familiari e correnti che non fanno i moderni quando sono senza
figure. {La cagione è che} quelli le
adoperano con arte.
*
χρῆσϑαι μέν τοι τoῖς σχήμασι μὴ
πυκνoῖς: ἀπειρόκαλον γὰρ καὶ παρεμϕαῖνóν
4217
τινa τοῦ λóγου ἀνωμαλίαν. Oἱ γοῦν ἀρχαῖοι, πολλὰ σχήματα ὲν τoῖς λóγοις
τιϑέντες, συνηϑέστεροι τῶν ἀσχηματίστων εἰσί, διὰ τὸ ἐντέχνως
τιϑέναι)
*
. L'osservazione è verissima in tutte le lingue;
la causa, proprio il contrario di quel che dice Demetrio. Gli antichi usavano le figure
naturalmente, senz'arte, e per non saper bene le regole generali della
grammatica: i moderni le pescano negli antichi, le usano a posta, sono
irregolari per arte. Perciò paiono, come sono, artifiziati, affettati, stentati,
diversi dal dir corrente. Caro Demetrio, non ogni buon {effetto o}
successo è da attribuirsi all'arte. Concedete qualche coserella alla natura,
{ed anche all'ignoranza,} benchè voi siate un
maestro di arte rettorica.
{{V. p.
4222.}}
[4217,1]
Alla p. 4206.
Quell'altra storiella nota, dello Spartano: quo fugis,
anima bis moritura;
*
sarà parimente inventata ad
esaggerazione e derision di goffaggine, e di coraggio materiale e stupido.
[4217,2] Mέδω, μέδομαι, μήδω, μήδομαι, μηδέω ec. (dei quali
verbi dico altrove pp.
3352-60 , parlando di medeor, meditor ec.) debbono originariamente essere stati un
verbo solo e medesimo, non pur tra di loro, ma eziandio con μέλω, μελέω,
μέλομαι, μελέομαι, distinti solamente per la pronunzia, come δασύς - λασύς, {λάσιος} e come in ispagn. dexar (oggi si scrive dejar coll'iota, che
risponde al nostro sci e al franc. ch) da laxare, lasciare, laisser, lâcher. Δάκρυον - lacrima.
[4217,3]
Alla p. 4200.
Dicono anche i greci nello stesso senso ἀναλαμβάνειν. Ménnone storico, Istoria della città di Eraclea pontica cioè di Ponto, ap. Foz.
cod. 224.
col. 724. ed. gr. lat. καὶ ἀπορίας
αὐτoὺς καταλαβούσης, ἀνελάμβανον oἱ ἀπò τῆς
῾Hρακλείας, σῖτον εἰς ᾽Aμισòν πέμποντες.
*
Trovandosi in
iscarsezza di vittovaglie, quelli di Eraclea li riebbero, mandando del frumento in Amiso.
*
(Bologna 14. Ott. 1826.) Id.
4218
ap. eumd. l. c. {col.} 732. καὶ παραυτίκa
τὰ πρòς τὴν χρείαν χoρηγoῦντες ἀϕϑóνως τoῖς Χιώταις, τoύτoυς ἀνελάμβανον.
*
et tunc quidem, {large} rebus necessariis suppeditatis, reficiunt Chiotas
*
(gli Sciotti).
Id. col. 736. Λεύκoλλoς δὲ ἐπὶ τοῦ Σαγγαρίoυ ποταμοῦ στρατοπεδεύων,
καὶ μαϑὼν τὸ πάθος, λóγoις ἀνελάμβανεν
ἀϑυμήσαντας τoὺς στρατιώτας.
*
Lucullo che era accampato in riva al Sangario
fiume, inteso il sinistro della rotta, confortò con parole i suoi soldati caduti
d'animo.
*
Simile frase usa il med. col. 753. dopo il
mezzo.