29-31 Gen. 1821.
[579,2] Da tutto il sopraddetto deducete questo corollario.
L'uomo è naturalmente, primitivamente,
580 ed
essenzialmente libero, indipendente, uguale agli altri, e queste qualità
appartengono inseparabilmente all'idea della natura e dell'essenza costitutiva
dell'uomo, come degli altri animali. La società è nello stesso modo
primitivamente ed essenzialmente dipendente e disuguale, e senza queste qualità
la società non è perfetta, anzi non è vera società. Pertanto l'uomo in società
bisogna che necessariamente si spogli e perda delle qualità essenziali,
naturali, ingenite, costitutive, e inseparabili da se stesso. Le quali egli può
ben perdere in fatto, ma non in ragione, perchè come si può considerare un
essere spoglio di una sua qualità intrinseca, costitutiva, e indipendente
affatto dalle circostanze e dalle forze, o esterne o accidentali, perch'essendo
primitiva e naturale, è necessaria, e durevole in ragione, quanto dura
quell'essere che la contiene, e ne è composto? Sarebbe lo stesso che voler
considerare un uomo senza la facoltà del pensiero, la quale è parimente
indipendente dagli accidenti. In questa ipotesi, sarà un altro
581 essere, ma non un uomo. Dunque un uomo privo della libertà e della
uguaglianza in ragione, sarebbe privo dell'essenza umana, e non sarebbe un uomo,
ch'è impossibile. Nè egli si può condannare a perdere realmente e radicalmente
questa qualità, neppure spontaneamente: e nessuna promessa, contratto, volontà
propria e libera, lo può mai spogliare in minima parte del diritto di seguire in
tutto e per tutto la sua volontà, oggi in un modo, domani in un altro: e come
egli ha potuto adesso volontariamente ubbidire, e promettere di ubbidire per
sempre; così l'istante appresso egli può disubbidire in diritto, e non può non
poterlo fare. V. p. 452. capoverso
1. Dunque la società, spogliando l'uomo in fatto, di alcune sue qualità
essenziali e naturali, è uno stato che non conviene all'uomo, non corrisponde
alla sua natura; quindi essenzialmente e primitivamente imperfetto, ed alieno
per conseguenza dalla sua felicità: e contraddittorio nell'ordine delle
cose.
[581,1] Del resto tutto quello ch'io dico della necessità
dell'unità, e quindi dipendenza
582 soggezione e
disuguaglianza nella società, non appartiene e non ha forza in quanto a quella
società veramente primordiale, che entra nell'essenza, ordine e natura della
specie umana e degli animali: società imperfetta in quanto società; perfetta in
quanto all'essenza vera e primitiva dell'uomo e degli animali, e all'ordine
delle cose, dove nulla è perfetto assolutamente, ma relativamente. Volendo
appurare l'idea della società, ne risulta direttamente la conseguenza che ho
detto, cioè la necessità dell'unità, e quindi della monarchia ec. Ma questi
appuramenti, queste circoscrizioni, queste esattezze, queste strettezze, {queste sottigliezze, queste dialettiche} queste
matematiche non sono in natura, e non devono entrare nella considerazione
dell'ordine naturale, perchè la natura effettivamente non le ha seguite. E non
solo non è imperfetto quello che {non} corrisponde
geometricamente alle dette idee, purchè però sia naturale; ma anzi non può esser
perfetto tutto quello che vien ridotto e conformato alle dette idee, perchè non
è più conforme al suo
583 stato essenziale e primitivo.
E dovunque ha luogo la perfezione matematica, ha luogo una vera imperfezione
(quando anche questa rimedii ad altri più gravi inconvenienti e corruzioni),
cioè discordanza dalla natura, e dall'ordine primitivo delle cose, il quale era
combinato in altro modo, e fuor del quale non v'è perfezione, benchè questa non
sia mai assoluta, ma relativa. La {stretta} precisione
entra nella ragione e deriva da lei, non entrava nel piano della natura, e non
si trovava nell'effetto. È necessaria ai nostri tempi, dove l'ordine delle cose
è corrotto, ed è come degnissimo d'osservazione altrettanto evidente e
osservato, che la stretta precisione delle leggi, istituzioni, statuti governi
ec. insomma delle cose, è sempre cresciuta in proporzione che gli uomini e i
secoli sono stati più guasti: ed ora è venuta al colmo, perchè anche la
corruzione è eccessiva, e ha passato tutti i limiti. L'appresso a poco, il facilmente e simili
altre idee, non convengono ai sistemi presenti, dove nulla è, se può non essere:
convengono ottimamente
584 alla natura, dove infinite
cose erano, e potevano non essere, ma la natura aveva provveduto bastantemente,
quando avea provveduto che non fossero, e non erano in fatto. Altrimenti come si
sarebbe potuta corromper la natura, e l'ordine delle cose, in quel modo in cui
vediamo che ha fatto? Della qual corruzione, tutti, più o meno, bisogna che
convengano. Ma ciò non avrebbe potuto accadere se tutto quello che era, non
avesse potuto non essere, nè essere nè andare altrimenti. Il qual effetto è lo
scopo della ragione e de' presenti sistemi, sempre diretti a rendere impossibile
il contrario, se il sistema appartiene alla pratica, e a dimostrare impossibile
il contrario, se il sistema appartiene alla speculativa.
[584,1] Questa pure è una gran fonte di errori ne' filosofi,
massime moderni, i quali assuefatti all'esattezza e precisione matematica, tanto
usuale e di moda oggidì, considerano e misurano la natura con queste norme,
{credono che il sistema della natura debba corrispondere
a questi principii;} e non credono naturale quello che non è preciso e
matematicamente esatto: quando anzi per lo contrario,
585
{si può dir} tutto il preciso non è naturale: Certo è
un {gran} carattere del naturale il non esser preciso.
Ma il detto errore è fratello di quello che suppone nelle cose il vero, il
bello, il buono, la perfezione assoluta.
[585,1] Nella natura e nell'ordine delle cose bisogna
considerare la disposizion primitiva, l'intenzione, il come le cose andassero da
principio, {il come piaccia alla natura che vadano, il come
dovrebbero andare;} non la necessità, nè il come non possano non
andare. Ed egli è certissimo che, sebben l'ordine delle cose andava naturalmente
nell'ottimo modo possibile, e regolarissimamente, contuttociò andava alla buona; e la massima parte delle
cagioni corrispondeva agli effetti sufficientemente (che questo si richiede
{alla provvidenza dell'effetto voluto:} la
sufficienza della causa), non necessariamente. E ciò non solo negli uomini, ma
negli animali, e in tutti gli altri ordini di cose. E perciò appunto si trovano
e accadono tuttogiorno nel mondo tanti inconvenienti, aberrazioni, accidenti
particolari contrari all'ordine generale: e non parlo già di quelli soli che
derivano da noi, ma di quelli indipendenti
586 affatto
dall'azione e dall'ordine nostro. I quali accidenti che si chiamano mali,
disastri, ec. danno tanto che fare ai filosofi, i quali non vedono come possano
aver luogo nell'opera della natura: ed alcuni sono stati così temerari, che
siccome la ragione nelle sue piccole opere si sforza di escludere la possibilità
d'ogni accidente particolare contrario a quel tal ordine generale; così hanno
creduto che {se} la ragione umana avesse presieduto
all'opera della natura, questi accidenti non avrebbero avuto luogo. Ma {le dette imperfezioni accidentali} non entrano nel piano
della natura, (sebbene neppur questo possiamo dire non conoscendo l'intero
ordine ed armonia delle cose): {non ne} sono però
matematicamente e necessariamente esclusi; e sono da lei quasi permessi, in quel
modo come dicono i Teologi che Dio permette il peccato, ch'è sommo male e
imperfezione, ma accidentale: e in ogni modo il piano, il sistema, la macchina
della natura, è composta e organizzata in altra maniera da quella della ragione,
e non risponde all'esattezza matematica.
[587,1]
587 Così dunque la società veramente primordiale, e
naturale alla specie umana, come a quelle dei bruti, senza principato, senza
soggezione, senza disuguaglianza, senza gradi, senza regole, poteva benissimo
corrispondere al fine, cioè al comun bene, come vi corrisponde quella delle
formiche: al qual fine non può mai corrispondere una società più stretta e
formata, se manca di unità. Ma quella primissima società camminava alla buona, e
così alla buona conseguiva l'intento della natura, e la sua destinazione. Nè per
questo era necessario opporsi alla natura, e introdurre una contraddizione tra
il fatto e il diritto, una contraddizione nell'ordine delle cose umane,
introducendo qualità contrarie alle qualità ingenite ed essenziali dell'uomo;
vale a dire la soggezione e disuguaglianza contrarie alla libertà ed uguaglianza
naturale.
[587,2] Che se le api hanno un capo, e quindi soggezione e
disparità, questo non fa obbiezione veruna. Tutto essendo relativo, la natura
che ha fatto gli uomini liberi e uguali, e così infinite altre specie di
animali; poteva far le api (e altre tali specie,
588 se
ve ne ha) disuguali e soggette. E siccome ella lo ha fatto, dando una
superiorità ingenita e naturale a certi
individui di quella specie, sopra gli altri individui; perciò, come lo stato
dell'uomo e degli altri animali non può esser perfetto senza libertà ed
uguaglianza, perchè queste sono naturali in loro; così per lo contrario lo stato
delle api non è perfetto senza soggezione e disuguaglianza, perchè la loro
specie è così fatta e ordinata da natura, e la perfezione consiste nello stato
naturale.
[588,1] Negli uomini dunque non c'è nulla di simile,
ne[nè] si può dedur nulla in proposito loro,
dall'esempio delle api. Perchè le piccole (certo piccole in proporzione della
disparità delle api), dico le piccole disparità o superiorità di forze, di
statura, d'ingegno ec. che s'incontrano negli uomini, sono disparità o
superiorità accidentali, e provenienti da cause subalterne; come sono
inferiorità accidentali quelle che vengono da malattie, da cadute, disgrazie
d'ogni genere ec. Sono dico accidentali queste o superiorità, o inferiorità,
cioè non sono regolari, e non appartengono all'ordine primitivo, costante,
invariabile,
589 essenziale della specie, come la
disparità delle api. Che se queste tali superiorità dessero a chi le possiede,
un diritto di comandare e di essere
ubbidito, 1. dove molti le possedessero in ugual grado, o non si saprebbe a chi
ubbirire, o tutti quei tali dovrebbero comandare, ed ecco svanita l'idea
dell'unità: 2. dove non ci fosse disparità nessuna, il principato non sarebbe
naturale, dove ci fosse, sarebbe naturale: 3. e di più siccome le disparità
possono nascere accidentalmente in diversi tempi, perciò in una stessa società
{anzi} generazione di uomini, oggi non sarebbe
naturale il principato, domani sì: 4. il fanciullo futuro superiore di forze ec.
siccome ancora non è tale, e forse non diverrà tale, se non per cause
accidentalissime, e imprevedibili; così non avrebbe ancora
nessun[nessuna] ombra di quel diritto al
comando, che avrà poi per natura: 5.
questo diritto supposto naturale, non dovrebbe tuttavia durare se non quanto
durasse la superiorità in quello o in quei tali; sicchè questi perdendo il
vigore del corpo, o dell'ingegno, o dell'animo, la virtù, il coraggio ec. per
malattie, per disgrazie, per circostanze, per cangiamento e corruzione di
590 opinioni, di costumi ec. per abuso fatto del corpo,
o in ogni modo invecchiando, il che è inevitabile; perderebbero essenzialmente
non solo in fatto ma in diritto quel comando, che si suppone avessero
naturalmente e per se. {+V. p. 609.
capoverso 1.} Insomma gli accidenti sono del
tutto fuori d'ogni considerazioni[considerazione], intorno all'ordine primitivo e stabile, e alla
natura di qualunque cosa. (29-31. Gen. 1821).