20-22. Aprile. Giorno di Pasqua. 1821.
[962,1]
Sono
perciò rare tra' francesi le buone traduzioni poetiche; eccetto
le Georgiche volgarizzate dall'abate De-Lille. I nostri traduttori
imitan bene; tramutano in francese ciò che altronde pigliano, cosicchè
nol sapresti discernere, ma non trovo opera di poesia che faccia
riconoscere la sua origine, e serbi le sue sembianze forestiere: credo
anzi che tale opera non possa mai farsi. E se degnamente ammiriamo
la georgica dell'abate De-Lille, n'è cagione quella maggior
somiglianza che la nostra lingua tiene colla romana onde nacque, di cui
mantiene la maestà e la pompa. Ma le moderne lingue sono tanto disformi
dalla francese, che se questa volesse conformarsi a quelle, ne
perderebbe ogni decoro.
*
Staël, B. Ital.
Vol. 1. p. 12. Esaminiamo.
[962,2] Che la traduzione del Delille sia migliore d'{ogni} altra traduzione francese {qualunque}
(in quanto traduzione), {di} questo ne possono {e debbono} giudicare i francesi meglio che gli
stranieri. Se poi fatto il paragone tra la detta traduzione e l'originale, vi si
trovi tutta quella conformità {ed equivalenza} che i
francesi stimano di ravvisarvi (quantunque concederò che se ne trovi tanta,
quanta mai si possa trovare in versione francese) questo giudizio spetta
piuttosto agli stranieri che a' francesi, e noi italiani massimamente siamo
meglio
963 a portata, che qualsivoglia altra nazione, di
giudicarne.
[963,1] Siccome ciascuno pensa nella sua lingua, o in quella
che gli è più familiare, così ciascuno gusta e sente {nella
stessa lingua} le qualità delle scritture fatte in qualunque lingua.
Come il pensiero, così il sentimento delle qualità spettanti alla favella,
sempre si concepisce, e inevitabilmente, nella lingua a noi usuale. I modi, le
forme, {le parole} le grazie, le eleganze, gli
ardimenti felici, i traslati, le inversioni, tutto quello mai che può spettare
alla lingua in qualsivoglia scrittura {o discorso}
straniero, {(sia in bene, sia in male)} non si sente
mai nè si gusta se non in relazione colla lingua familiare, e paragonando più o
meno distintamente quella frase straniera a una frase nostrale, trasportando
quell'ardimento, quella eleganza ec. in nostra lingua. Di maniera che l'effetto
di una scrittura in lingua straniera sull'animo nostro, è come l'effetto delle
prospettive ripetute e vedute nella camera oscura, le quali tanto possono essere
distinte e corrispondere veramente agli oggetti e prospettive reali, quanto la
camera oscura è adattata a renderle con esattezza; sicchè tutto l'effetto
dipende dalla camera oscura piuttosto che dall'oggetto reale. Così dunque
accadendo rispetto alle lingue (eccetto in coloro che sono già arrivati o a
rendersi familiare un'altra lingua invece della propria, o a rendersene
familiare e quasi propria più d'una, con grandissimo uso
964 di parlarla, o scriverla, o leggerla, cosa che accade a
pochissimi, e rispetto alle lingue morte, forse a nessuno) tanto adequatamente
si potranno sentire le qualità delle lingue altrui, quanta sia nella propria, la
facoltà di esprimerle. E l'effetto delle lingue altrui sarà sempre in
proporzione di questa facoltà nella propria. Ora la facoltà di adattarsi alle
forme straniere essendo tenuissima e minima nella lingua francese, pochissimo si
può stendere la facoltà di sentire e gustare le lingue straniere, in coloro che
adoprano la francese.
[964,1] Notate ch'io dico, gustare e sentire, non intendere nè
conoscere. Questo è opera dell'intelletto il quale si serve di altri mezzi. E
quindi i francesi potranno intendere e conoscer benissimo le altre lingue, senza
però gustarle nè sentirle più che tanto.
[964,2] Ho detto che gl'italiani in questo caso possono dar
giudizio meglio che qualunque altro. 1. La lingua italiana, come ho detto
altrove p. 321, è piuttosto un aggregato di lingue che una lingua, laddove la
francese è unica. Quindi nell'italiana è forse maggiore che in qualunque altra
la facoltà di adattarsi alle forme straniere, non già sempre ricevendole
identicamente, ma trovando la corrispondente, e servendo come di colore allo
studioso della lingua straniera, per poterla dipingere, rappresentare, ritrarre
nella propria
965 comprensione e immaginazione. E per lo
contrario nella lingua francese questa facoltà è certo minore che in qualunque
altra. 2. Queste considerazioni rispetto alla {detta}
facoltà della nostra lingua, si accrescono quando si tratta della lingua latina,
o della greca. Perchè alle forme di queste lingue, la nostra si adatta anche
identicamente, più che qualunque altra lingua del mondo: e non è maraviglia,
avendo lo stesso genio, ed essendosi sempre conservata figlia vera di dette
lingue, non solo per ragione di genealogia e di fatto, ma per vera e reale
somiglianza e affinità di natura e di carattere. Laddove la lingua francese
sebbene nata dalla latina, se n'è allontanata più che qualunque altra sorella o
affine. E il genio della lingua francese è tanto diverso da quello della latina,
quanta differenza mai si possa trovare fra le lingue di popoli che appartengono
ad uno stesso clima, ad una stessa famiglia, ed hanno una storia comune ec. La
somiglianza delle parole, cioè l'essere grandissima parte delle parole francesi
derivata dal latino, non fa nessun caso, essendo una somiglianza materialissima,
e di suono, non di struttura: anzi neppur di suono, per la somma differenza
della pronunzia. Ma in ogni caso il suono e la struttura sono cose indipendenti,
così che ci potrebbero esser due lingue, tutte le cui parole avessero
un'etimologia comune,
966 e nondimeno esser lingue
diversissime.
[966,1] In conseguenza se ai francesi pare di ravvisare il
gusto, l'andamento, il carattere di Virgilio nel Delille, e a
noi italiani pare tutto l'opposto, io dico che in ciò siamo più degni di
credenza noi, che col mezzo della lingua propria (solo mezzo di sentire le
altre) possiamo meglio di tutti sentire le qualità della francese e (più ancora)
della latina; di quello che i francesi che col mezzo della loro renitentissima
ed unica lingua, non hanno se non ristretta facoltà di sentire veramente Virgilio e gustarlo in tutto ciò che
spetta alla lingua.
[966,2] Passo anche più avanti, e dico esser più difficile ai
francesi che a qualunque altra nazione Europea, non solo il gustare e il
sentire, ma anche il formarsi un'idea precisa e limpida, il familiarizzarsi, e
finalmente anche l'imparare le lingue altrui. Dice ottimamente Giordani (B. Italiana vol. 3. p. 173.) che Niuna lingua, nè viva nè morta, si può imparare se non per mezzo
d'un'altra lingua già ben saputa. Questo è certissimo. S'impara la
lingua che non sappiamo, barattando parola per parola e frase per
frase con quella che già possediamo.
*
Ora se
questa lingua che già possediamo, non si presta se non pochissimo e di pessima
voglia e difficilissimamente a questi baratti, è manifesto che la difficoltà
d'imparare le altre lingue, dovrà essere in proporzione. E siccome questa lingua
già posseduta è
967 l'unico strumento che abbiamo a
formare il concetto della natura forza e valore delle frasi e delle parole
straniere, se lo strumento è insufficiente o scarso, scarso e insufficiente sarà
anche l'effetto.
[967,1] Ciò è manifesto 1. dal fatto. La gran difficoltà di
certe lingue affatto diverse dal carattere delle nostrali, consiste in ciò, che
cercando nella propria lingua parole o frasi corrispondenti, non le troviamo, e
non trovandole non intendiamo, o stentiamo a intendere, o certo a concepire con
distinzione ed esattezza la forza e la natura di quelle voci o frasi straniere.
2. da una ragione anche più intimamente filosofica e psicologica delle
accennate. Le idee, i pensieri per se stessi non si fanno vedere nè conoscere,
non si potrebbero vedere nè conoscere per se stessi. A far ciò non c'è altro
mezzo che i segni di convenzione. Ma se i segni di convenzione son diversi, è lo
stesso che non ci fosse convenzione, e che quelli non fossero segni, e così in
una lingua non conosciuta, le idee e pensieri che esprime non s'intendono. Per
intendere dunque questi segni come vorreste fare? a che cosa riportarli? alle
idee e pensieri vostri immediatamente? come? se non sapete quali idee e quali
pensieri significhino. Bisogna che lo intendiate per mezzo di altri segni, della
cui convenzione siete partecipe, cioè per mezzo di un'altra lingua da voi
conosciuta; e quindi riportiate quei segni sconosciuti, ai segni
968 conosciuti, i quali sapendo voi bene a quali idee si
riportino, venite a riportare i segni {sconosciuti}
alle idee, e per conseguenza a capirli. Ma se il numero dei segni da voi
conosciuti è limitato, come farete a intendere quei segni sconosciuti che non
avranno gli equivalenti fra i noti a voi? Non vale che quei segni sconosciuti
corrispondano a delle idee, e che voi siate capacissimo di queste idee. Bisogna
che sappiate quali sono e che lo sappiate precisamente, e non lo potete sapere
se non per via di segni noti. Bisogna che se p. e. (e questo è il principale in
questo argomento) quei segni sconosciuti esprimono un accidente, una gradazione,
una menoma differenza, una nuance di qualche idea che
voi già conoscete e tenete, e sapete esprimere con segni noti, voi intendiate
perfettamente, e vi formiate un concetto chiaro e limpido di quella tale
ancorchè menoma gradazione; e se questa non si può esprimere con {verun} segno a voi noto, come giungerete al detto
effetto? Solamente a forza di conghietture, o spiegandovisi la cosa a forza di
circollocuzioni. Con che non è possibile, o certo è difficilissimo che voi
giungiate a formarvi un'idea chiara, distinta ec. di quella precisa idea, o
mezza idea ec. espressa da quel tal segno. E perciò dico che i francesi non sono
ordinariamente capaci di concepire le proprietà delle altre lingue, se non in
maniera più o meno oscura, ma che
969 sempre conservi
qualche cosa di confuso e di non perfetto. Ciascuna lingua (lasciando ora le
parole, delle quali la francese, sebbene inferiore anche in ciò ad altre lingue,
tuttavia non è povera, e in certi generi {è} ricca) ha
certe forme, certi modi particolari e propri che per l'una parte sono
difficilissimi a trovare perfetta corrispondenza in altra lingua; per l'altra
parte costituiscono il principal gusto di quell'idioma, sono le sue più native
proprietà, i distintivi più caratteristici del suo genio, le grazie più intime,
recondite, e più sostanziali di quella favella. Nessuna lingua dunque è uno
strumento così perfetto che possa servire bastantemente per concepire con
perfezione le proprietà tutte e ciascuna di ciascun'{altra} lingua. Ma la cosa va in proporzione; e quella lingua ch'è più
povera d'inversioni (Staël l. c. p. 11. fine),
chiusa in giro più angusto (ib.), più monotona, (ib. p. 12.
principio), più timida, più scarsa di ardiri, più legata, più serva di
se stessa, meno arrendevole, meno libera, meno varia, più strettamente conforme
in ogni parte a se stessa; questa lingua dico è lo strumento meno atto, meno
valido, più insufficiente, più grossolano, per elevarci alla cognizione delle
altre lingue, e delle loro particolarità.
[969,1] Che se ciò vale quanto al perfetto intendere,
970 molto più quanto al perfetto gustare, che risulta
dal senso intero e preciso e completo di qualità tanto più numerose, e tanto più
menome e sfuggevoli, e tanto più proprie ed intime e arcane e riposte e
peculiari di quella tal lingua. Una lingua che, come confessa un francese (Thomas, il cui luogo ho riportato altrove p. 208) se refuse peut-être
*
(à
la grâce), parce qu'elle ne peut
nous donner ni cette sensibilité tendre et pure qui la fait naître,
ni cet instrument facile et souple qui la peut
rendre;
*
una tal lingua dico, che è la francese, come
potrà essere perfetto istrumento per concepire e sentire come conviene, le
grazie ec. delle altre lingue? trattandosi poi, come ho dimostrato, che a questo
effetto, gli uomini non hanno altro istrumento che la loro propria lingua, come
potranno il più de' francesi, ancorchè dotti e dilicati, sentire profondamente e
perfettamente, e formarsi idea netta di queste tali grazie, e vestirsi in somma
intieramente, com'è necessario, delle altre lingue, e del genio loro?
[970,1] Il fatto conferma queste mie obbiezioni. Ciascun
popolo ama di preferenza, e gusta e sente la propria letteratura meglio di ogni
altra. Questo è naturale. Ma ciò accade sommamente ne' francesi, i quali
generalmente non conoscono in verità altra letteratura che la loro (dico
letteratura, e non scienze, filosofia ec.).
971 Le altre
non le conoscono, se non per mezzo di quelle traduzioni, che essendo fatte come
ognun sa, e come comportano i limiti, il genio, la nessuna adattabilità della
loro lingua, trasportano le opere straniere non solo nella lingua, ma nella
letteratura loro, e le fanno parte di letteratura francese. Così che questa
resta sempre l'unica che si conosca in Francia
universalmente, anche dalla universalità degli studiosi. Ed è anche vero
generalmente, che non solo non conoscono, ma noncurano, e disprezzano, o certo
sono inclinatissimi a disprezzare le letterature straniere. Che se non
disprezzano la latina e la greca, viene che non sempre gli uomini sono
conseguenti, viene ch'essi parlano come parla tutto il mondo che esalta quelle
letterature, viene ch'essi stimano quelle letterature come compagne o madri
della loro, e nel mentre che stimano la loro come la più perfetta possibile,
anzi la sola vera e perfetta, non vedono, o non vogliono vedere ch'è
diversissima, e in molte parti contraria a quelle due, {le
quali non isdegnano di proporsi per modello e norma, e citare al loro
tribunale e confronto ec. ec.;} viene ch'essi credono di gustarle
pienamente, e di giudicarne perfettamente ec.
[971,1] Ciascuno straniero è soggetto a cadere in errore
giudicando dei pregi o difetti di una lingua altrui, morta o viva, massime de'
più intimi e reconditi e particolari. E così giudicando di quei pregi o difetti
972 di un'opera di letteratura straniera, che
appartengono alla lingua, e di tutta quella parte dello stile (ed è grandissima
e rilevantissima parte) che spetta alla lingua, o ci ha qualche relazione per
qualunque verso. Ma i giudizi de' francesi sopra questi soggetti, e de' francesi
anche più grandi e acuti e stimabili, sono quasi sempre falsi: in maniera che
per lo più la falsità loro, va in ragione diretta della temerità ed assurance con cui sono ordinariamente pronunziati;
vale a dire ch'è somma. E ordinariamente i francesi, quando parlano di certe
intimità delle letterature straniere, appartenenti a lingua, fanno un arrosto di
granciporri.
[972,1] Questo quanto al gustare. Quanto all'intendere, il
fatto non è meno conforme alle mie osservazioni. Perchè la francese insieme
coll'italiana, è senza contrasto, la nazione meno letterata in materia di
lingue, sia lingue antiche classiche, cioè greca e latina, (nelle quali la
Francia non può in nessun modo paragonarsi
all'inghilterra, germania,
olanda ec.) sia lingue vive, delle quali la maggior
parte dei francesi si contenta di essere ignorantissima, o di saperne quanto
basta per usurpare il diritto di sparlarne, e giudicarne a sproposito e al
rovescio. Nell'italia (dove però l'ignoranza non è tanto
compagna della temerità)
973 il poco studio delle lingue
morte o vive, nasce dalla misera costituzione del paese, e dalla generale
inerzia che non senza troppo naturali e necessarie cagioni, vi regna. Ed ella
non è più al di sotto in genere, di quello che in ogni altro, o di studi, o di
qualsivoglia disciplina, e professione della vita. Ma nella
Francia le circostanze sono opposte: in luogo che vi
regni l'inerzia, vi regna l'attività e le ragioni di lei; in luogo che vi regni
l'ignoranza, vi regnano tutte le altre maniere di coltura; tutti gli {altri} studi, e tutte le buone discipline e professioni
fioriscono in Francia da lungo tempo; la sua posizione
geografica, e tutte le altre sue circostanze la pongono in continua e viva ed
orale relazione co' forestieri,
tanto nell'interno della Francia stessa, quanto fuori.
Perchè dunque ella si distingue assolutamente dalle altre nazioni nella poca e
poco generale coltura delle lingue altrui, vive o morte? Fra le altre cagioni
che si potrebbero addurre, io stimo una delle principali quella che ho detto,
cioè la difficoltà che oppone la loro stessa lingua all'intelligenza e
sentimento delle altre, e l'insufficienza dello strumento che hanno per
procacciarsi {e} la cognizione, e il gusto delle lingue
altrui.
[974,1]
974 Una celebre Dama Irlandese morta pochi anni fa (Lady
Morgan) riferisce come cosa notabile che di tanti emigrati
francesi che soggiornarono sì lungo tempo in inghilterra,
nessuno o quasi nessuno, quando tornarono in Francia coi
Borboni, aveva imparato veramente l'inglese, nè poteva portar giudizio se non
incompleto, inesatto, anzi spesso stravagantissimo e ridicolo, sopra la lingua e
letteratura inglese; sebbene tutte erano persone ottimamente allevate, e ornate,
qual più qual meno, di buoni studi.
[974,2] Io non intendo con ciò di detrarre, anzi di aggiungere
alla gloria di quei dottissimi e sommi letterati francesi che malgrado tutte le
dette difficoltà, facendosi scala da una ad altra lingua, mediante lunghi,
assidui, profondi studi delle altrui lingue e letterature, mediante i viaggi, le
conversazioni ec. sono divenuti così padroni delle lingue e letterature
straniere che hanno coltivate, ne hanno penetrato così bene il gusto ec. quanto
mai possa fare uno straniero, e forse anche talvolta quanto possa fare un
nazionale. (Cosa per altro rara, che, eccetto il Ginguené, non credo che si trovi autore francese,
massime oggidì, che abbia saputo {o sappia} giudicare
con verità della lingua e letteratura italiana: e così discorrete delle altre) E
non ignoro quanto debbano massimamente le lingue e letterature orientali ai
975 dotti francesi di questo e del passato secolo. Ma
questi tali dotti presenti o passati hanno parlato o parlano e più modestamente
della lingua e letteratura loro, e più cautamente e con più riguardo delle
altrui, siccome è costume naturale di chiunque {meglio
e} maturamente ed intimamente conosce {ed
intende.}
(20-22. Aprile. Giorno di Pasqua. 1821). {{V. p. 978.
capoverso 3.}}