[4183,2] Il mangiar soli, τὸ μονοϕαγεῖν, era infame presso i
greci e i latini, e stimato inhumanum, e il titolo di
μονοϕάγος si dava ad alcuno per vituperio, come quello di τοιχωρύχoς, cioè di
ladro. V. Casaub. ad Athenae. l. 2. c. 8. {+e gli Addenda a quel
luogo.} Io avrei meritata quest'infamia presso gli antichi.
(Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli
antichi però avevano ragione, perchè essi non conversavano insieme a tavola, se
non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della
comessazione, ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come
oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più da uno spilluzzicare di qualche poco di
cibo per destar la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe più
allegria, più brio, più spirito, {più buon umore,} e
più voglia di conversare {e di ciarlare.}
{#(1.) Così appunto la pensavano gli antichi. V. Casaub.
ib. l. 8. c. 14. init.} Ma nel tempo delle
vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso
naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io
non posso mettermi nella testa che quell'unica ora
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del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esteriori della
favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale
importa moltissimo che sia fatta bene, perchè dalla buona digestione dipende in
massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e
morale dell'uomo, e la digestione non può esser buona se non è ben cominciata
nella bocca, secondo il noto proverbio o aforismo medico), abbia da esser
quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacchè molti si
trovano, che dando allo studio o al ritiro per qualunque causa tutto il resto
del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien
fachés[fâchés] di
trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona
digestione, non credo di essere inumano se in
quell'ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che
voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non
secondo quello degli altri, che spesso divorano e non fanno altro che imboccare
e ingoiare. Del che se il loro stomaco si contenta, non segue che il mio se ne
debba contentare, come pur bisognerebbe, mangiando in compagnia, per non fare
aspettare, e per osservar le bienséances che gli
antichi non credo curassero troppo in questo caso; altra ragione per cui essi
facevano molto bene a mangiare in compagnia, come io credo fare ottimamente a
mangiar da me. (Bologna. 6. Luglio. 1826.).
{{V. p. 4245. 4248. 4275.}}
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