11. Giugno 1820.
[121,1] La cagion vera secondo me di quello che dice Montesquieu loc. cit. ch. 14. p. 157. di uno fatto accusare
da Tiberio per aver venduta colla sua
casa la statua dell'imperatore, e di un altro che ec. è che il materiale e il
sensibile, avea molto più forza sugli antichi, ed era molto più considerato in
quei tempi d'immaginazione, che in questi nostri tutti intellettuali.
[121,2] Le cagioni di quello che nota Montesquieu ch.
14. fine, e se ne maraviglia, sono 1. che ciascuno è tanto infelice
quanto esso crede, e i poveri e ignoranti si credono assai meno infelici di
quello che fanno i ricchi e istruiti, non già che quelli non si credano molto
più sventurati di questi, ma misurando e ragguagliando l'opinione
122 della propria infelicità quale ambedue la
concepiscono si trova molto maggiore in questi che in quelli. 2. che di un
popolo mezzo barbaro è tutto proprio il timore. 3. che per disprezzar la vita e
le sventure non basta essere infelici, ma si richiede magnanimità e profondità
di sentimenti, e forza d'animo, cose ignote alla plebe, altrimenti prevale il
desiderio naturale e cieco della propria conservazione. 4. che la prosperità dà
confidenza, ma le continue sventure {primieramente} in
luogo di far l'uomo generoso, l'avviliscono col sentimento della propria
debolezza, e gli levano il coraggio, {massime se egli non è
magnanimo per natura o per coltura;} poi la trista esperienza rende
l'uomo tremebondo a causa del nessuno sperare, e dell'aspettar sempre male. 5.
finalmente che chi ha pochissimo, teme più per quel poco, perchè non è avvezzo a
confidare, nè a immaginar nessuna risorsa, avendone sempre mancato, quando sia
un popolo vissuto sempre nella inazione come i moderni, e non avvezzo a continue
imprese e vicissitudini di fortuna, come gli antichi romani ancorchè poveri.
[122,1] La cagione che adduce Montesquieu dell'esser sovente il principio de'
cattivi regni, come il fine dei buoni, (ch.
15. p. 160) non è buona, perchè va a terra quando un cattivo principe
succede a un buono. Io credo che la vera sia, prima, che il suo fine essendo di
regnar male, egli fa bene nel principio per inesperienza, e male nell'ultimo, al
contrario dei buoni, poi, che una certa generosità naturale
123 nei primi momenti della prosperità e del potere è verisimile anche
nei cattivi, anzi sarebbe inverisimile il contrario. Poi coll'assuefazione a
quello stato si torna a riprendere il proprio carattere, interrotto da quella
novità straordinaria, come avviene spessissimo nella vita. (11 Giugno
1820.).