16-17. Luglio. 1823.
[2976,1] Benchè materiale, non sarà perciò vana
l'osservazione che i poemi d'Omero,
massime l'Iliade, avuto rispetto alla qualità della lingua greca,
la quale in un dato numero di parole o di versi dice molto più che le lingue
moderne naturalmente e ordinariamente non dicono, i poemi d'Omero, ripeto, sono i più lunghi di tutti i poemi Epici
conosciuti nelle letterature Europee. Paragonati all'Eneide, ch'è poema scritto nella lingua più di tutte vicina alla
detta facoltà della lingua greca, oltre ch'essi sono composti di 24 libri
ciascuno, laddove l'Eneide di soli dodici, si
trova che avendo l'Eneide 9896 versi, l'Odissea n'ha 12096, e l'Iliade 15703, il qual computo l'ho fatto io medesimo. Notisi che i
versi di Virgilio sono della stessa
misura che quelli di Omero. Questo
parallelo così esatto non si potrebbe fare coi poemi scritti nelle lingue
moderne, sì per la differente misura
2977 de' versi e
quantità delle sillabe che questi contengono, sì molto maggiormente perchè le
lingue moderne hanno bisogno d'assai più parole che non la lingua greca e latina
per significare una stessa cosa. Onde quando anche v'avesse qualche poema epico
moderno che di parole eccedesse quelli d'Omero, credo però che tutti debbano consentire che nel numero, per
così dire, o nella quantità delle cose niuno ve n'ha che non sia notabilmente
minore di questi, o certo dell'uno d'essi, cioè dell'iliade.
[2977,1] Ora ella è pur cosa mirabile ad osservare che lo
spirito e la vena di Omero, l'uno tanto
vivido {gagliardo} e fervido e l'altra così ricca e
feconda {in ciascheduna parte,} abbiano potuto reggere,
lascio stare in due poemi, ma in un poema medesimo, per così lungo tratto.
Perciocchè tutti gli altri poeti epici, avendo tolto qual più qual meno, quale
direttamente e quale indirettamente, qual più visibilmente e qual più
copertamente da lui, e successivamente gli uni dagli altri di mano in mano, si
vede tuttavia che non hanno
2978 potuto reggere a un
corso così lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d'una
carriera assai più breve, e bene spesso prima di giungere al termine di questa
medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e
che la lena e l'alacrità veniva lor manco, tanto più quanto più s'avvicinavano
alla meta. {Da queste osservazioni si
deduce quanto la natura e l'ingegno son più ricchi dell'arte e come
l'imitatore è sempre più povero dell'imitato. V. Algarotti
Pensieri. Opp. Cremona, t. 8. p.
79.} E Virgilio, il
quale che cosa non ha tolto ad Omero?,
nella seconda metà della sua Eneide riesce
evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella
invenzione, certo però nell'esecuzione {cioè nelle immagini,
nella espansione e vivacità degli affetti} e nello stile, il che non
può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la
versificazione di Virgilio, anzi a
questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: {V. Chateaubriand, Génie.
Paris 1802. Par. 2. l. 2. ch. 10 fin. t. 2.
p. 105-6.} e vedesi che l'immaginazione di Virgilio era per la lunga fatica
illanguidita, raffreddata, e sfruttata; non rispondeva all'intenzione del poeta;
non
2979 gli ubbidiva; egli poetava già {per instituto e quasi debito,} per arte e per abitudine,
arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti
sembrare impeto ed ὁρμή poetica, ma non sono, e non paiono tali ai più accorti,
i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena, la προϑυμία, l'alacrità di
Virgilio. L'invenzione doveva essere
stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com'è naturale in
ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant'arte e maestria. Quindi s'ella
nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L'immaginazione era
così fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il
principio. Ma non minor forza, vivezza, attività, prontezza, fecondità
d'immaginativa si richiede allo stile, ossia all'esecuzione che all'invenzione.
Anzi si può dire che lo stile poetico, e nominatamente quello di Virgilio, sia un composto di continue,
innumerabili e successive invenzioni. Ogni metafora, ogni aggiunto che abbia
quella mirabile
2980 e novità ed efficacia ch'e'
sogliono avere in Virgilio, sono tante
particolari e distinte invenzioni poetiche, come sono invenzioni le
similitudini, e richiedono una continua energia, freschezza, mobilità, ricchezza
d'immaginazione, e un concepir sempre vivamente e {quasi} sentire e vedere qualsivoglia menoma cosa che occorra di
nominare o di esprimere eziandio di passaggio e per accidente. {+Anche in ogni altra parte
dell'esecuzione, cioè nelle immagini ec. e nella vena degli affetti anche in
situazioni che per la invenzione sono patetichissime ec. Virgilio ne' sei ultimi libri è inferiore a se
stesso, che che ne dica Chateaubriand.}
{{V. p.
3717.}}
[2980,1] In verità questo affievolimento e spossamento
dell'immaginazione, del calore, dell'entusiasmo in un poema di lungo spirito,
non solo ci dee parer perdonabile, ma così naturale, ch'egli sia quasi
inevitabile anche ai più grandi e veri poeti. Massime considerando quella
continuità d'azione che si richiede all'immaginativa, nel modo spiegato di
sopra. Ma Omero, da niuno attingendo,
non avendo esemplari coll'uso e meditazione de' quali, se non altro, ristorasse
le sue forze, si rinfrescasse, e ripigliasse animo (come accade anche ai più
originali poeti), senz'altro nè fonte nè
2981 soccorso,
nè modello, nè sprone che se medesimo, la sua propria immaginativa e la natura,
in uno anzi in due interi poemi più lunghi di tutti quelli ch'essi poscia hanno
prodotti, non mostra mai nè quanto all'invenzione nè quanto allo stile il menomo
languore o isterilimento, ma dura fino all'ultimo colla stessa freschezza,
vivacità, efficacia, ricchezza, copia, impeto, così intero di forze, così
abbondante di novità, così fervido, {così veemente,}
così mosso ed affetto dalla natura, e dagli oggetti che se gli presentano o
ch'egli immagina, come nel principio. Massimamente nella Iliade.
Nella quale anzi la ricchezza, {varietà} bellezza,
originalità e forza dell'invenzione tanto più s'accrescono, quanto più si
avanza, ed è maggiore nel fine che nel principio.
[2981,1] E veramente si può dire che Omero fu molto più ricco del suo solo, che tutti gli
altri poscia non furono del loro proprio e dell'altrui accumulato insieme. Nè
certo, secondo le addotte considerazioni, dee parer poco maraviglioso e
notabile, benchè materiale, il dire che i poemi {epici}
d'Omero sono più lunghi
2982 di tutti quelli che da essi in uno o altro modo
derivarono (poichè anche il Paradiso perduto e la Messiade derivano
pur di là), e che di essi in una o altra guisa si alimentarono. Massime
aggiungendo che in tutta la loro estensione essi sono i medesimi, cioè sempre
veri poemi, {e sempre uguali a se stessi,} il che non
si può neppur sempre dire di tutti gli altri sopraddetti.
[2982,1] Par che l'immaginazione al tempo di Omero fosse come quei campi fertilissimi
per natura, ma non mai lavorati, i quali, sottoposti che sono all'industria
umana, rendono ne' primi anni due e tre volte più, e producono messi molto più
rigogliose e vivide che non fanno negli anni susseguenti malgrado di
qualsivoglia studio, diligenza ed efficacia di coltura. O come quei cavalli
indomiti, lungamente ritenuti nelle stalle, che abbandonati al corso, si trovano
molto più freschi e gagliardi de' cavalli esercitati e addestrati, dopo aver
fatto un doppio spazio. Tanto che, considerando la freschezza dello stile, delle
immagini, della invenzione di Omero
nella fine della Iliade, par ch'ei non lasci di poetare
2983 e non chiuda il poema, se non perch'ei vuol così,
e per esser giunto alla meta ch'ei s'era prefisso, {+o perchè ogni opera umana dee pure aver qualche
fine,} ma che fuori di questo caso, egli avrebbe ancora e spirito e
lena per seguire, senza pur posarsi, a correre ancora non interrottamente
altrettanto e maggiore, anzi non determinabile spazio. E che l'opera sua riceva
il suo termine, ma la ricchezza e copia della sua immaginativa non sia di gran
lunga esaurita, anzi sia poco meno che intatta; e che il suo corso finisca, ma
non il suo impeto.
[2983,1] E par che la natura ancor vergine dalla poesia {+(siccome vergine dalle scienze e dalla
filosofia ec. che distruggono l'immaginazione e l'illusioni ch'essa natura
ispira)} le somministrasse in quel tempo tanta copia d'immagini e
sentimenti che non avesse quasi alcun fondo, e a rispetto di cui sembri povera e
scarsa quella che i più grandi poeti trassero poscia in qualunque tempo dalla
natura già molto studiata e imitata. (16-17. Luglio. 1823.).