2. Gen. 1821.
[466,2] È cosa notata e famosa presso gli antichi (non credo
però gli antichissimi, ma più secoli dopo Senofonte) che Senofonte
non premise nessun preambolo alla Κύρου
ἀναβάσει, sebbene dal secondo libro in poi, premetta libro per libro, il
Laerzio dice un proemio, ma
veramente un epilogo o riassunto brevissimo delle cose dette prima. V. il Laerz. in Xenoph.
Luciano, de scribenda histor.
ec. E Luciano dice che molti per
imitarlo non ponevano alcun proemio alle loro istorie. Ed aggiunge: {οὐκ εἰδότες
ὡς} δυνάμει
*
(potentiâ) τινὰ προοίμιά ἐστι λεληϑότα τοὺς
πολλούς
*
. Io qui non vedo maraviglia nessuna. Esaminate bene
quell'opera: non è una storia, ma un Diario o Giornale {(si
può dire, e per la massima parte militare)} di quella Spedizione.
Infatti procede giorno per giorno, segnando le marce, contando le parasanghe ec.
ec. infatti l'opera si chiude con una lista effettiva {o
somma} dei giorni, spazi percorsi, nazioni ec. lista indipendente dal
resto, per la sintassi. E di queste enumerazioni ne
467
sono sparse per tutta l'opera. Non doveva dunque avere un proemio, non essendo
propriamente in forma d'opera, ma di Commentario o Memoriale, ossiano ricordi, e
materiali. Chi si vuol far maraviglia di Senofonte, perchè non se la fa di Cesare? Il quale comincia i suoi Commentari
de bello G.[Gallico] e C.[Civili] ex abrupto, appunto come Senofonte. E questo perchè non erano Storia ma
commentari. Nè pone alcun preambolo a nessuno de' libri in cui sono divisi. Così
Irzio. Eccetto
{una specie
di} avvertimento indirizzato a Balbo e premesso al lib. 8. de b.
G. (il quale era necessario non per l'opera in se, ma per
la circostanza, ch'egli n'era il continuatore) nè quel libro, nè quello de b. Alexandrino, nè
quello de b. Africano, nè quello d'autore
incerto de b. Hispaniensi non hanno alcun
preambolo, ed entrano subito in materia.
[467,1] Da queste osservazioni deducete 1. un'altra prova che
Senofonte è il vero autore della K. A.[Κύρου
ἀναβάσει] non Temistogene ec. trattandosi di un giornale, che non
poteva essere scritto {o almeno abbozzato} se non in pręsentia, e dallo stesso Generale (come i
commentarii di Cesare), o almeno da
qualche suo intimo confidente. Questa proprietà, di essere cioè scritta da un
testimonio di
468 vista, anzi dal principale attore e
centro degli avvenimenti non è comune a nessun'altra {opera} storica greca, che ci rimanga, anzi a nessun'antica, fuorchè
ai commentarii di Cesare. Perciò ella
{è} singolarmente preziosa anche per questo capo, e
propria più delle altre a darci la vera idea de' costumi, pensieri, natura degli
antichi, e de' loro fatti; come le lettere
di Cicerone in altro genere di
scrittura, sono la più recondita e intima sorgente della storia di quei tempi.
{{V. p. 519. capoverso 2.}}
[468,1] 2. Che poco saggiamente Arriano volle scrivere l'᾽Αλεξάνδρου ἀνάβασιν (in 7. libri perchè 7. son quelli di Senof.) a imitazione della detta opera.
Perch'egli non poteva scrivere, nè scrisse, nè intese o pensò di scrivere un
giornale. Quindi le due opere sono essenzialmente di diverso genere, cioè l'una
un diario, l'altra una storia. Meno male Onesicrito, in quello che scrisse d'Alessandro a imitazione pure di Senofonte. Perch'egli fu compagno di Alessandro nella sua spedizione, come Senofonte di Ciro. V. il Laerz. l. 6. in
Onesicrito.
[468,2] Del resto, se la storia
῾Ελληνικῶν di Senofonte
non ha proemio, ciò viene perch'era destinata a continuare e far tutto un corpo
con quella di Tucidide. Infatti gli antichi notando la mancanza del
proemio nella K. A. non parlano di quest'altra.
469 E v. le ultime
parole τῶν ῾Ελληνικῶν, {{e Dionigi Alicarnasseo nelle testimonianze
de Xenophonte.}}
[469,1] È osservabile che Senofonte in quest'altra opera riesce minor di se stesso, perchè si
sforza d'imitar Tucidide, e ciò
servilmente, volendo che il suo stile non si distinguesse da quello di Tucidide, e le due opere sembrassero
tutt'una. E tanto peggio, quanto lo stile di Tucidide è quasi l'opposto di quello ch'era proprio di Senofonte. Infatti chi ha un poco di
criterio, può facilmente notare nei libri τῶν
Ἑλληνικ[Ἑλληνικῶν] una brevità
forzata, una differenza sensibile dallo stile delle altre opere Senofontee, uno studio
impotente di esser efficace, rapido, forte ec. Cosa contraria all'indole di Senofonte: e v. Cic. nei testimoni de Xenophonte ec. e Dionigi
Alicarnasseo parimente nelle testimonianze de
Xenophonte.
Anzi nelle stesse frasi, parole, modi, insomma nell'esterno e materiale dello
stile, Senofonte abbandona spesso il
suo costume per seguir quello di Tucidide, così che anche l'esteriore dello stile riesce alquanto
nuovo a chi ha l'orecchio assuefatto alle altre opere di Senofonte. Fino nell'ortografia, Senofonte volendo assomigliarsi a Tucidide, scrive (contro quello che suole nelle altre
470 opere) ξύν per σύν, e così nei composti
dov'entra questa preposizione: consuetudine ch'io credo familiare a Tucidide. (2. Gen.
1821.)