21. Marzo 1821.
[830,1] Non solamente è ridicolo che si pretenda la
perfettibilità dell'uomo, in quanto alla mente, o a quello che vi ha riguardo,
come ho detto in altro pensiero [pp. 371-73], ma anche in quanto ai
comodi corporali. Paiono oggi così necessari quelli che sono in uso, che si
crede quasi impossibile la vita umana, senza di questi, o certo molto più
misera, e si stimano i ritrovamenti di tali comodità, tanti passi verso la
perfezione e la felicità della nostra specie, massime di certe comodità che
sebbene lontanissime dalla natura, contuttociò si stimano essenziali e
indispensabili all'uomo. Ora io non domanderò a costoro come abbian fatto gli
uomini a viver tanto tempo privi di cose indispensabili; come facciano oggi
tanti popoli di selvaggi; parecchi ancora de' nostrali e sotto a' nostri occhi,
tuttogiorno. {+(anzi ancora quegli stessi più che mai
assuefatti a tali cose pretese indispensabili, quando per mille
diversità di accidenti, si trovano in circostanza di mancarne, alle
volte anche volontariamente).}
{Osservate in
questo proposito che essendo certo non potersi perfezionare il corpo
dell'uomo, anzi deperire nella civiltà, e quindi non darsi perfettibilità
dell'uomo in quanto al corpo, (la quale infatti niuno asserì nè
asserirebbe), tuttavia si sostiene la sua perfettibilità infinita in quanto
all'animo (quando intorno al corpo, volendo anche prendere per perfezioni
quelle che oggi si credono tali, e in natura sono la maggior parte il
contrario, certo però la perfettibilità sarebbe finitissima).} I quali
tutti, in luogo di accorgersi della loro infelicità, hanno anzi creduto
831 e credono e si accorgono molto meno di essere
infelici, di quello che noi facciamo a riguardo nostro: e molto meno lo erano e
lo sono, sì per questa credenza, come anche indipendentemente. Non chiamerò in
mio favore la setta cinica, e l'esempio e l'istituto loro, diretto a mostrare
col fatto, di quanto poco, e di quante poche invenzioni e sottigliezze abbisogni
la vita naturale dell'uomo. Non ripeterò che, siccome l'abitudine è una seconda
natura, così noi crediamo primitivo quel bisogno che deriva dalla nostra
corruzione. E che molti anzi infiniti bisogni nostri sono oggi reali, non
solamente per l'assuefazione, la quale, com'è noto, dà o toglie la capacità di
questo o di quello, e di astenersi da questo o da quello; ma anche senza essa
per lo indebolimento ed alterazione formale delle generazioni umane, divenute
oggidì bisognose di certi aiuti, soggette a certi inconvenienti, e quindi
necessitose di certi rimedi, che non avevano alcun luogo nella umanità
primitiva. Così la medicina, così l'uso di certi cibi, di vesti diversificate
secondo le stagioni, di
832 preservativi contra il
caldo, il freddo ec. di chirurgia ec. ec. Lascerò tutte queste cose e perchè
sono state dette da altri, e perchè potrebbero deridermi come partigiano
dell'uomo a quattro gambe. Solamente ripeterò quel ragionamento che ho usato
nella materia della perfettibilità mentale. Dunque se tutto questo era
necessario {o conveniente} alla perfezione e felicità
dell'uomo, come mai la natura tanto accurata e finita maestra in tutto, glielo
ha non solo lasciato ignorare, ma nascosto, quanto era in lei? Diranno che la
natura avendo dato a un vivente le facoltà necessarie, ha lasciato a lui che con
queste facoltà ritrovasse e si procacciasse il bisognevole, e che all'uomo ha
lasciato più che al bruto, perchè a lui diede maggiori facoltà, e così
proporzionatamente ha fatto secondo le maggiori o minori facoltà negli altri
bruti. Altro è questo, altro è mettere una specie di viventi in una infinita
distanza da quello che si suppone necessario al suo ben essere, e alla
perfezione della sua esistenza. Altro è permettere {anzi
volere e disporre} che infinito
833 numero,
che moltissime generazioni di questi viventi restassero prive {o} affatto o in massima parte di cose necessarie alla
loro perfezione. Altro è mettere nel mondo il detto vivente tutto nudo, tutto
povero, tutto infelice e misero, col solo compenso di certe facoltà, per le
quali, solamente dopo un gran numero di secoli, sarebbe arrivato a conseguire
qualche parte del bisognevole a minorare l'infelicità di una vita il cui scopo
non è assolutamente altro che la felicità. Altro è ordinare le cose in modo che
gran parte di questa specie (come tanti selvaggi poco fa scoperti, o da
scoprirsi) dovesse restare fino al tempo nostro, e chi sa fino a quando,
appresso a poco nella stessa imperfezione e infelicità primitiva (il che si può
applicare anche alla pretesa perfettibilità della mente e delle varie facoltà
dell'uomo). E tutto ciò in una specie privilegiata, e che si suppone la prima
nell'ordine di tutti gli esseri. Bel privilegio davvero, ch'è quello di veder
tutti gli altri viventi conseguire immediatamente la loro relativa perfezione
834 e felicità, senza stenti, nè sbagli, ed essa
intanto per conseguire la propria, stentare, tentare mille strade, sbagliare
mille volte, e tornare indietro, e finalmente dovere aspettare lunghissimo
ordine di secoli, per conseguire in parte il detto fine. Osserviamo quanti
studi, quante invenzioni, quante ricerche, quanti viaggi per terra e per mare a
remotissime parte[parti], e combattendo infiniti
ostacoli, sì della fortuna, sì (ch'è più notabile) e massimamente della natura,
per ridurci, quanto al corpo, nello stato presente, e proccurarci di quelle
stesse cose che ora si stimano essenziali alla nostra vita. Osserviamo quante di
queste, ancorchè già ritrovate, abbiano bisogno ancora dei medesimi travagli
infiniti per esserci procacciate. Osserviamo quanto ancora ci manchi, {+quanto sia di scoperta recentissima o
assolutamente, o in comparazione dell'antichità della specie umana;}
quanto ogni giorno si ritrovi, e quanto si accrescano le cognizioni pretese
utili alla vita, anche delle più essenziali (come in chirurgia, medicina ec.);
quante cose si ritroveranno e verranno poi in uso, che a noi avranno mancato, e
che i nostri
835 posteri giudicheranno tanto
indispensabili, quanto noi giudichiamo quelle che abbiamo. Domando se tutta
questa serie di difficilissimi mezzi conducenti al fine primario della natura
ch'è la felicità {e perfezione} delle cose esistenti e
il loro ben essere, e massime de'
viventi, e de' primi tra' viventi, entravano nel sistema, nel disegno, nel piano
della natura, nell'ordine delle cose, nella primordiale disposizione e calcolo
relativamente alla specie umana. Domando se nel piano nell'ordine nel calcolo
de' mezzi conducenti al fine essenziale e primario, ch'è la felicità e
perfezione, mezzi per conseguenza necessari ancor essi, v'entrava anche il caso.
Ora è noto quante scoperte delle più sostanziali in questo genere, e dell'uso il
più quotidiano, e di effetti e applicazioni rilevantissime, non le debba l'uomo
se non al puro e semplice caso. Dunque il puro e semplice caso entrava nel
sistema primordiale della natura; dunque ella lo ha calcolato come mezzo
necessario; dunque
836 ella ne ha fatto dipendere il
fine essenziale e primario; dunque si è contentata che non accadendo il tale e
tale altro caso, o non accadendo in quel tal modo ec. ec. o accadendo bensì
quello ma non questo ec. la specie umana, la maggiore delle sue opere, restasse
imperfetta e infelice, e priva del fine della sua esistenza, e similmente tutte
quelle parti dell'ordine delle cose che dipendono o hanno stretta connessione
colla specie umana.
[836,1] Bisogna osservare che la sfera del caso si stende
molto più che non si crede. Un'invenzione venuta dall'ingegno e meditazione di
un uomo profondo, non si considera come accidentale. Ma quante circostanze
accidentalissime sono bisognate perchè quell'uomo arrivasse a quella capacità.
Circostanze relative alla coltura dell'ingegno suo; relative alla nascita, agli
studi, ai mezzi estrinseci d'infiniti generi, che colla loro combinazione l'han
fatto tale, e mancando lo avrebbero reso diversissimo (onde è stato detto che
l'uomo è opera del caso); relative alle scoperte e cognizioni acquistate da
altri prima
837 di lui, acquistate colle medesime
accidentalità, ma senza le quali egli non sarebbe giunto a quel fine; relative
all'applicazione determinata della sua mente a quel tale individuato oggetto ec.
ec. ec. Nello stessissimo modo discorrete di una scoperta fatta p. e. mediante
un viaggio, mediante un'Accademia, una intrapresa pubblica, o regia ec. la quale
scoperta si suol mettere del tutto fuori della sfera degli accidenti. E vedrete
che siccome da una parte la sfera del caso, in tutte le cose, massime umane, si
stende assai più che non si crede, così d'altra parte, o tutte o il più di
quelle invenzioni ec. che ora sono d'uso creduto di prima necessità, ed
essenziale alla vita umana, sono effettivamente dovute al caso. Paragonate ora
questa incredibile negligenza della natura, nell'abbandonare a un mezzo sì
incerto lo scopo primario della primaria specie di viventi, cioè la felicità
dell'uomo; con quella certezza e immancabilità di mezzi che la natura ha
adoperata per tutti gli altri suoi fini, ancorchè di minore importanza: e
giudicate se si possa mai supporre
838 per vera.
(21. Marzo 1821.). {{V. p. 870. fine.}}