28. Luglio 1820.
[188,2] Nessun dolore cagionato da nessuna sventura, è
paragonabile a quello che cagiona una disgrazia grave e irrimediabile, la quale
sentiamo ch'è venuta da noi, e che potevamo schivarla, in somma al pentimento
vivo e vero.
[188,3] Così il bene come il male aspettato sono
ordinariamente più grandi che il bene o il male presente. La cagione di tutte
due le cose è la stessa, cioè l'immaginazione determinata dall'amor proprio
occupato nel primo caso dalla speranza, nel secondo dal timore.
[188,4] Perchè una cosa non piacevole per se stessa, tuttavia
189 piaccia quando riesce inaspettata, in somma da
che derivi il piacere della sorpresa considerata puramente come sorpresa, si
spiega colla teoria della noia esposta di sopra in questi pensieri. Perchè
l'uomo prova piacere ogni volta ch'è mosso potentemente, purchè non dal timore o
dal male. Perchè poi il piacere inaspettato riesca ordinariamente maggiore
dell'aspettato, si spiega parte colla detta ragione, parte con quella che ho
notata, p. 73. E v. se vuoi Montesquieu
Essai sur le gout. Des plaisirs de la
Surprise. Amsterdam 1781. p. 386. Du je ne sais quoi. p. 394. progression
de la surprise p. 398.
[189,1] L'affettazione ordinariamente è madre dell'uniformità.
Da ciò viene che sazia ben presto. In tutti gli scritti di un gusto falso e
affettato, come in tante poesie straniere, come nelle poesie orientali,
osservate che voi sentirete sempre un senso di monotonia, come guardando quelle
figure gotiche che dice Montesquieu, l. c. des
Contrastes p. 383. E questo quando anche il poeta o lo
scrittore abbia cercato la varietà a più potere. Ragioni. 1. L'arte non può mai
uguagliare la ricchezza della natura, anzi vediamo quante varietà svaniscano
quando l'arte se ne impaccia, come nei caratteri e costumi e opinioni dell'uomo
e in tutto il gran sistema della natura umana già pieno di varietà, sia nelle
idee {e nell'immaginazione} sia nel materiale, ed ora
dall'arte reso tanto uniforme. Così dunque l'affettazione. 2. L'affettazione
continua è una uniformità da se sola, cioè in quanto è una qualità continua
dell'opera d'arte. Non dite che in questo caso anche la naturalezza continua
dovrebbe riuscire uniforme. 1. la naturalezza non risalta nè stanca
190 nè dà negli occhi come l'affettazione {(ch'è una qualità estranea alla cosa),} eccetto s'ella
pure fosse ricercata e affettata, nel qual caso non è più naturalezza ma
affettazione, come spessissimo nelle dette poesie. 2. la naturalezza appena si
può chiamar qualità o maniera, non essendo qualità o maniera estranea alle cose,
ma la maniera di trattar le cose naturalmente, e com'elle sono, vale a dire in
{mille} diversissime maniere, laonde le cose sono
varie nella poesia, nello scrivere, in qualunque imitazion vera, come nella
realtà. Applicate queste osservazioni anche alle arti, p. e. ai paesaggi
fiamminghi paragonati a quelli del Canaletto veneziano (v. la Dionigi
Pittura de' paesi), alle stampe di Alberto Duro, dove lo
stento e l'accuratezza manifesta del taglio dà un colore uguale e monotono alla
più gran varietà di oggetti imitati nel resto eccellentemente e
variatissimamente. Così {accade che} la negligenza
apparente, e l'abbandono, lasciando cader tutte le cose nella scrittura come
cadono naturalmente (o in pittura ec.) sia certa origine di varietà, e quindi
non istanchi come le altre qualità della scrittura ec. p. e. anche l'eleganza:
giacchè nessuna stancherà meno della disinvoltura.
[190,1] Dalle due sopraddette ragioni intendete perchè la
massima parte delle scritture e {specialmente} poesie
francesi stanchino sopra modo. Il loro eterno stile di conversazione 1.
dev'essere infinitamente meno vario del naturale, come l'arte della natura. 2.
dà un colore uniforme alle cose più varie, ed un colore ch'essendo estraneo alla
cosa, risalta, e stanca a brevissimo andare. In fatti osservate che le poesie
francesi paiono tutte d'un pezzo, per la grande monotonia, e il senso che
producono è questo, d'una cosa dura dura e non pieghevole, nè adattabile
191 a niente.
[191,1] Il suono dello j, e ge e gi francese è un suono
distintissimo che manca alla nostra lingua, e forma effettivamente un'altra
lettera dell'alfabeto. Nè si può chiamare un composto di g, ed s. 1. perchè è
distintissimo dal suono di ciascuna di queste due lettere, 2. perchè si
pronunzia tutto in un solo istante, e non successivamente come noi italiani
pronunzieremmo sgi {o sghi} o gsi, ma sibbene come il z
il quale è una lettera bella e buona distintissima dalle altre, e non un
composto dis sed s. Osservate anche le due diverse pronunzie del z {l'}una o {l'altra} delle quali
manca io credo a parecchie nazioni, e la s schiacciata dei francesi che manca
parimente a noi. (28. Luglio 1820.).