22. Nov. 1820.
[345,1] Tutte le cose vengono a noia colla durata, anche i
diletti più grandi: lo dice Omero, lo vediamo tuttogiorno. La monotonia è
insoffribile. Ma un grande e forse sommo rimedio di questo male, è lo scopo.
Quando l'uomo si
346 propone uno scopo o dell'azione, o
anche dell'inazione, trova diletto anche nelle cose non dilettevoli, anche nelle
spiacevoli, quasi anche nella stessa monotonia; e quanto alle cose dilettevoli,
l'uniformità e durata loro non nuoce al piacere di chi le dirigge a un fine. Io
non credo che per altra più capitale, universale ed intima ragione, gli studi
sieno agli studiosi come un'eccezione dalla regola generale, cioè la
continuazione di essi non pregiudichi quasi mai al piacere. Vedete tutto giorno
delle persone che non leggono per altro fine che di passare il tempo, trovar
gran diletto nelle prime pagine di un libro, e non poterne arrivare al fine
senza noia, quando anche quel libro abbia per se stesso tutti i mezzi per
dilettare in seguito come nel principio. Ma l'uniformità del diletto, senza uno
scopo, produce inevitabilmente la noia, e perciò queste tali persone che leggono
per solo divertimento, si stancano così presto, che non sanno concepire come
nella lettura si trovi tanto divertimento, e cercano del continuo di variare e
passare nauseosamente da un libro a un altro, senza trovar mai diletto in
veruno, se non lieve e passeggero. Al contrario lo studioso che della lettura si
prefigge sempre uno scopo, quando anche leggesse per ozio e passatempo. E così
tutte le altre occupazioni
347 a cui l'uomo si
affeziona, applicandoci un interesse, e uno scopo più o meno determinato, e più
o meno grave e importante; dove la continuazione, la lunghezza e la monotonia
non arrivano mai ad annoiare. (22. Nov. 1820.). {{V. p. 359. capoverso 1.}}