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2-5. Luglio 1821.

[1263,2]  Alla p. 1134. Lo studio dell'etimologie fatto coi lumi profondi dell'archeologia, per l'una parte, e della filosofia per l'altra, porta a credere che tutte o quasi tutte le antiche lingue del mondo, {(e per mezzo loro le moderne)} sieno derivate antichissimamente e nella caligine, anzi nel buio de' tempi {immediatamente, o mediatamente} da una sola, {+o da pochissime lingue assolutamente primitive, madri di tante e sì diverse figlie.} Questa {primissima lingua,} a quello che pare, quando si diffuse per le diverse parti del globo, mediante le trasmigrazioni degli uomini, era ancora rozzissima, scarsissima, priva d'ogni sorta d'inflessioni, inesattissima, costretta a significar cento cose con  1264 un segno solo, priva di regole, e d'ogni barlume di gramatica ec. e verisimilissimamente non applicata ancora in nessun modo alla scrittura. (Se mai fosse già stata in uso la così detta scrittura geroglifica, o le antecedenti, queste non rappresentando la parola ma la cosa, non hanno a far colla lingua, e sono un altro ordine di segni, {+anteriore forse alla stessa favella; certo, secondo me, anteriore a qualunque favella alquanto formata e maturata.)} Nè dee far maraviglia che la grand'opera della lingua, opera che fa stordire il filosofo che vi pensa, e molto più del rappresentare le parole, e ciascun suono di ciascuna parola, chiamato lettera, mediante la scrittura, e ridurre tutti i suoni umani a un ristrettissimo numero di segni detto alfabeto, abbia fatto lentissimi progressi, e non prima di lunghissima serie di secoli, abbia potuto giungere a una certa maturità; non ostante che l'uomo fosse già da gran tempo ridotto allo stato sociale. {+Quanto all'alfabeto o scrittura par certo ch'egli fosse ben posteriore alla dispersione del genere umano, sapendosi che molte nazioni già formate presero il loro alfabeto da altre straniere, come i greci dai Fenici, i latini ec. Dunque non era noto prima ch'elle si disperdessero, e dividessero, giacch'elle da principio non ebbero alcun alfabeto. E i Fenici l'ebbero pel loro gran commercio ec. Dunque esistendo il commercio, le nazioni erano, e da gran tempo, divise.}
[1264,1]  Diffondendosi dunque pel globo il genere umano, e portando con se per ogni parte quelle scarsissime e debolissime convenzioni di suono significante, che formavano allora la lingua; si venne stabilendo nelle diverse parti, e la società cominciò lentissimamente a crescere e camminare verso la perfezione. Primo e necessario mezzo per l'una parte, e per l'altra effetto di questa, è la sufficienza e l'organizzazione della favella. Venne dunque lentamente  1265 a paro della società, crescendo e formandosi la favella, sempre sul fondamento o radice di quelle prime convenzioni, cioè di quelle prime parole che la componevano. Queste erano dappertutto uniformi, ma le favelle formate non poterono essere uniformi, nè conservarsi l'unità della lingua fra gli uomini. Primieramente dipendendo la formazione della favella in massima parte dall'arbitrio, o dal caso, e da convenzione o arbitraria o accidentale, gli arbitri e gli accidenti, non poterono esser gli stessi nelle diversissime società stabilitesi nelle diversissime parti del globo, quando anche esse avessero tutte conservato gli stessi costumi, le stesse opinioni, le stesse qualità che aveva la primitiva e ristrettissima società da cui derivavano; e quando anche tutte le parti del globo avessero lo stesso clima e influissero per ogni conto sopra i loro abitatori in un modo affatto uniforme.
[1265,1]  Secondariamente il genere umano diviso, e diffuso pel mondo, si diversificò nelle sue parti infinitamente, non solo quanto a tutte le altre appartenenze della vita umana, e de' caratteri ec. ma anche quanto alle pronunzie, alle qualità de' suoni articolati, e degli alfabeti parlati, diversissimi secondo i climi ec. ec. come vediamo. Queste infinite  1266 differenze sopravvenute al genere umano, già diviso in nazioni, e distribuito nelle diverse parti della terra, fecero sì che la formazione delle lingue presso le nazioni primitive, differisse sommamente, quantunque tutte derivassero da una sola e stessa radice, e conservassero nel loro seno i pochi e rozzi elementi della loro prima madre, diversamente alterati collo scambio delle lettere, secondo le inclinazioni degli organi di ciascun popolo, colle inflessioni, colle significazioni massimamente, colle composizioni, e derivazioni, e metafore infinite e diversissime di cui l'uomo naturalmente si serve a significare le cose nuove o non ancora denominate ec. ec.
[1266,1]  Nel terzo luogo, la lingua primitiva, dovette immancabilmente servirsi delle stesse parole per significare diversissime cose, scarseggiando di radici, e mancando o scarseggiando d'inflessioni, di derivati, di composti ec. La lingua ebraica, l'una delle lingue scritte più rozze, e lingua antichissima, serve di prova di fatto a questo ch'io dico, e che è chiaro abbastanza per la natura delle cose. Ora i diversi popoli nella formazione progressiva delle lingue, trovando qual per un verso, qual per un altro, il modo di significar le cose più distintamente, conservarono alle loro prime parole radicali dove uno  1267 dove un altro de' sensi che ebbero da principio, o fossero propri, o traslati. Così che non è da far maraviglia se bene spesso in diversissime lingue si trovano tali e tali radici uniformi o somiglianti nel suono, ma disparatissime nel significato. Nè la disparità del significato è ragion sufficiente per decidere che non hanno fra loro alcuna affinità. Ci vuole il senno {e la sottigliezza} del filosofo, e la vasta erudizione e perizia del filologo, dell'archeologo, del poliglotto, per esaminare se e come quella tal radice potesse da principio riunire quei due o più significati diversi. {+Chi non vede p. e. che wolf, voce che in inglese e in tedesco significa lupo, è la stessa che volpes o vulpes, che significa un altro quadrupede {pur} selvatico, e dannoso agli uomini?} Frattanto la detta osservazione dimostra la immensa differenza che appoco {appoco} dovette nascere fra le varie lingue, e l'infinita oscurazione {che ne dovette seguire} del linguaggio primitivo e comune una volta, ma già non più intelligibile nè riconoscibile. {{(V. la p. 2007. principio.)}}
[1267,1]  Nel quarto luogo che dirò della scrittura? {{1.}} O della sua mancanza (giacchè è più che verisimile che quando gli uomini e le lingue si divisero e sparsero, non si avesse ancora nessuna notizia della scrittura alfabetica, nè di segno alcuno de' suoni, trattandosi che la lingua {stessa} allora parlata, era così bambina come abbiamo probabilmente conghietturato dagli effetti); mancanza che toglieva ogni  1268 stabilità, ogni legge, ogni forma, {ogni certezza, ogni esattezza,} alle parole, ai modi, alle significazioni; e lasciava la favella fluttuante sulle bocche del popolo, e ad arbitrio del popolo, senza nè freno, nè guida, nè norma. Dal che quante variazioni derivino, lo può vedere chiunque osservi i dialetti ne' quali sempre o quasi sempre si divide una stessa lingua parlata, quantunque già formata e applicata alla scrittura; e insomma le infinite diversità che a seconda de' tempi e de' luoghi patisce quella lingua che il popolo parla, ancorchè ella stessa sia pure scritta ec. Che se da questo che noi vediamo, rimonteremo a quello che doveva essere in quei tempi, dove l'ignoranza dell'uomo era somma, somma l'incertezza e l'ondeggiamento di tutta la vita, ec. ec. potremo facilmente vedere, che cosa dovessero divenire, e quante forme prendere {o} la lingua primitiva o le sottoprimitive, mancanti dell'appoggio, e dell'asilo non pur della letteratura, ma della stessa scrittura alfabetica.
[1268,1]  2. Che dovrò dire dell'invenzione della scrittura? Pensate voi stesso, nella prima imperfezione di quest'arte prodigiosa e difficilissima; nella differenza degli alfabeti, o nella inadattabilità dell'alfabeto scritto di un popolo, all'alfabeto parlato di un altro;  1269 nella imperizia de' lettori, e degli scrittori, {e de' primi copisti} ec. ec. pensate voi quali incalcolabili e inclassificabili alterazioni dovessero ricevere le prime lingue, sì come scritte, sì come parlate, cominciando a influir la scrittura sulla favella.
[1269,1]  Notate cosa notabilissima. Tutte le lingue antiche non ci possono essere pervenute se non per mezzo della scrittura, giacchè quando anche non sieno interamente morte, il corso de' secoli porta sì enormi variazioni alle lingue, che dal modo in cui ora si parli una lingua antichissima, chi può sicuramente argomentare delle sue antiche proprietà, ancor dopo formata? Ora egli è certo che le lingue scritte differirono sommamente dalle parlate, stante la difficoltà che nel principio sì dovè provare per rappresentare esattamente ciascun suono ec. Difficoltà che produsse infallibilmente eccessive differenze fra le antiche parole scritte e le pronunziate. Differenze che appoco appoco si stabilirono; e malgrado le cure che si posero per una parte ad uniformare più esattamente i segni scritti ai suoni {inventando nuovi segni ec. ec.;} malgrado l'influenza che acquistarono le scritture sulle modificazioni del parlare ec. certo è che tali differenze dove più dove meno dovettero {perpetuarsi e} sempre conservarsi.
[1270,1]   1270 Quindi considerate i pericoli che si corrono nell'argomentare le proprietà di un'antica parola, e la sua prima forma, dal modo in cui solamente ella ci può esser nota, dal modo cioè nel quale è scritta. Come chi argomentasse della lingua inglese o francese ec. dal modo in cui sono scritte. Non c'è regola per sapere precisamente qual fosse il valore e la pronunzia di un tal carattere in una lingua antica, e massime antichissima, e massime antichissimamente ec. ec. Quindi è ben verisimile che moltissime parole d'antiche lingue, che vedendole scritte ci paiono diversissime e disparate, ci dovessero parere del tutto affini, se sapessimo qual vera e primitiva pronunzia si volle antichissimamente rappresentare con quei tali segni che vediamo. {{Vedi p. 1283.}}
[1270,2]  Aggiungete un'osservazione che cresce forza all'argomento. L'invenzione dell'alfabeto è sì maravigliosa e difficile, che è ben verisimile, che quel primo alfabeto che fu inventato passasse dalla nazione e dalla lingua che l'inventò, a tutte o quasi tutte le altre; e quindi o tutti o quasi tutti gli alfabeti derivino da un {solo} alfabeto primitivo. Quello ch'è certo e costante {si} è che l'alfabeto {Fenicio, il} Samaritano, l'Ebraico, il Greco, l'arcadico, il pelasgo, l'Etrusco, il latino, il Copto, senza  1271 parlare di non pochi altri {(come il Mesogotico, il Gotico, e il tedesco, l'Anglosassone, il russo)} dimostrano evidentemente l'unità della loro comune origine. {+Or quali lingue più disparate che p. e. l'ebraica e la latina? (Pur ebbero, come vediamo, lo stesso alfabeto in principio.) Tanto che Sir W. Jones il quale fa derivare da una stessa origine le lingue, e le religioni popolari della prima razza de' Persiani e degli Indiani, dei Romani, dei Greci, {dei Goti,} degli antichi Egizi o Etiopi, tiene per fermo che gli Ebrei, gli Arabi, gli Assirii, ossia la 2da razza Persiana, i popoli che adoperavano il Siriaco, ed una numerosa tribù d'Abissinii, parlassero tutti un altro dialetto primitivo, diverso affatto dall'idioma pocanzi menzionato, * cioè di quegli altri popoli.} Così che, eccetto quella prima nazione, dove fu ritrovato l'alfabeto, in qualunque modo ciò fosse, tutte le altre, o tutte quelle che immediatamente o mediatamente lo ricevettero da lei, scrissero con alfabeto forestiero. Ed essendo infinita in tante nazioni la varietà de' suoni ec. ec. vedete che immense alterazioni dovè ricevere ciascuna lingua nell'essere applicata a un solo alfabeto, per lei più o meno, e bene spesso estremamente forestiero. {{V. p. 2012. 2619.}}
[1271,1]  A tutte le sopraddette cose aggiungete le alterazioni molto maggiori che ricevettero le lingue sottoprimitive nel suddividersi, e risuddividersi secondo le vicende infinite delle nazioni, e del genere umano; aggiungete le alterazioni che ricevettero e quelle e queste lingue appoco appoco, non solo col corso de' secoli e indipendentemente ancora da ogni altra circostanza, ma coll'esser finalmente ridotte più o meno a lingue gramaticali, {col raddolcimento delle parole prodotto e dalla civiltà crescente, e dai letterati, secondo i diversi geni degli orecchi nazionali ec.; coll'essere} applicate non più solamente alla scrittura, ma alla letteratura, della cui estrema influenza sul modificare e formare le lingue, che accade ora ripetere quello che s'è tante volte ripetuto? {+Bensì osservo che le lingue antiche non ci sono pervenute se non per mezzo, non già della semplice scrittura, ma della letteratura. Delle alterazioni che le parole soffrono nel significato v. p. 1505. fine. e 1501.-2.}
[1272,1]   1272 E dopo tutto ciò non vi farà maraviglia se tanto deve stentarsi, e se bene spesso è impossibile a riconoscere nelle diversissime e quasi innumerevoli lingue del mondo l'unità dell'origine; e se la lingua o le lingue assolutamente primitive, o piuttosto quella {o quelle} prime poverissime e rozzissime nomenclature, che furono la base delle lingue tutte, e che formano ancora le radici delle loro parole; annegate nelle derivazioni, inflessioni, composizioni diversissime secondo i casuali accidenti delle formazioni delle lingue, i caratteri, i geni, i climi, le letterature che formarono esse lingue, le opinioni, i costumi, le circostanze diversissime della vita che v'influirono, le cognizioni, le disposizioni della terra, del cielo ec. ec. e modificate e svisate secondo le differenze degli organi nelle diverse nazioni, secondo l'ignoranza de' parlatori primitivi, la corruzione che inevitabilmente soffrono le parole anche nelle lingue le più stabilite e perfette; non vi maraviglierete, dico, se tali primitive radici benchè comuni a tutte le lingue, si nascondono {{per la più parte}} agli occhi degli osservatori più fini, fanno disperare l'etimologista, e considerare come un frivolo sogno l'investigazione delle origini delle lingue, e lo studio delle etimologie, e dell'analogia delle parole di tutte le favelle (intrapresa però a svolgere da parecchi, ed ultimamente, secondo che odo, da non so qual francese); {+insomma la primitiva unità di origine e analogia di tutte le lingue. (Riferite {tutte} queste osservazioni a quello che altrove ho detto p. 952 p. 955 p. 1022 pp. 1045. sgg. pp. 1247-48 pp. 1260. sgg. pp. 1265. sgg. della necessaria varietà delle lingue, e vicendevolmente riferite quei pensieri a questi.)}
[1273,1]   1273 Malgrado tutto ciò, ella è cosa certissima che tali investigazioni (per quanto elle possono avvicinarsi al vero) sono delle più utili che mai si possano concepire sì alla storia come alla filosofia. Le origini delle nazioni (oltre ai progressi dello spirito umano, e la storia de' popoli, cose tutte fedelmente rappresentate nelle lingue), le remotissime epoche loro, le loro provenienze, la diffusione del genere umano, e la sua distribuzione pel mondo, in somma la storia de' primi ed oscurissimi incunaboli della società, e de' suoi primi passi, non d'altronde si può maggiormente attingere che dalle etimologie, le quali rimontando di lingua in lingua fino alle prime origini di una parola, danno le maggiori idee che noi possiamo avere circa le prime relazioni, i primi pensieri, cognizioni ec. degli uomini.
[1273,2]  Certo è parimente che in lingue disparatissime parlate antichissimamente da popoli lontanissimi fra loro, si trovano bene spesso tali conformità nelle forme esteriori e nel significato di certe voci, e queste voci sono in gran parte così necessarie alla vita, esprimono cose così necessarie, e nel tempo stesso così facili e prime e naturali ad esprimersi, che queste conformità, non volendo attribuirle al caso, ch'è inverisimile, non potendo attribuirle alla natura, giacchè si tratta di voci d'espressione e di forma quasi al tutto arbitraria;  1274 e neppure potendo attribuirle a relazioni posteriori di detti popoli fra loro, sì perchè ciò s'oppone molte volte a tutte le storie conosciute, sì perchè si tratta di parole necessarie e prime in tutte le lingue; resta che si attribuisca ad una {comune} origine di tali lingue e di tali popoli, ancorchè ora e sin da remotissimo tempo disparatissimi, e lontanissimi, e ignoti gli uni agli altri.
[1274,1]  A scoprir dunque tal comune origine delle lingue e quindi delle nazioni (o sia una sola origine, o sieno alcune pochissime); a ritrovare quanta maggior parte si possa della prima lingua degli uomini; a soddisfare al filosofico desiderio di quel metafisico tedesco (v. p. 1134.) ec. ec. non v'è altro mezzo che lo studio etimologico. E questo non ha altra via, se non che giovandosi de' lumi comparativi d'una estesa poliglottia, de' lumi profondamente archeologici e filologici, fisiologici e psicologici ec. prendere a considerar le parole delle lingue meglio conosciute fra le più antiche (come più vicine alla comune origine delle lingue); e denudandole d'ogni inflessione, composizione, derivazione gramaticale ec. ec. cavarne la radice più semplice che si possa; e quindi coi detti lumi comparativi ec. ridurre questa radice dalle diversissime alterazioni di forma, e di suoni che può avere ricevute, {+(anche prima di divenire radice d'altra parola, e nel suo semplice stato, ovvero dopo)} alla sua forma primitiva. {+Quando questa non si possa trovare e stabilire precisamente, l'Etimologo avrà fatto abbastanza, e l'utilità sarà pur molta, se avrà dimostrato che una tal parola {dimostrata} radicale, quantunque diversa nelle diverse lingue, è però una sola in origine, e che fra quelle diverse forme, significati ec. di essa radice, si trova la forma, il significato ec. primitivo, quantunque non si possa definitamente stabilire se questo sia il tale o il tale fra i {detti} sensi e forme che ha nelle differenti favelle.} Come  1275 questo si possa fare nella lingua latina che è una delle antichissime, delle meglio conosciute, e delle meglio accomodate a tali ricerche, abbiamo cercato di indicarlo colla scorta della filologia e dell'archeologia, mostrando come dalle parole latine si possa trarre la radice monosillaba, e colla scorta della filosofia la quale insegna che le prime lingue dovettero essere per la più parte monosillabe, e composte quasi di soli nomi; mostrando molti accidenti delle parole latine, considerati finora come qualità essenziali, il che nuoce, come è chiaro, infinitamente alla invenzione delle estreme radici, ed arresta il corso delle ricerche etimologiche lungi dalla sua meta, e in un punto dove elle non debbono arrestarsi, come se già fossero giunte alle ultime origini, ed agli ultimi elementi delle parole. Abbiamo insomma cercato di ridurre l'analisi {e la decomposizione} delle parole latine, ad elementi più semplici: cosa giovevolissima alla cognizione delle loro origini e radici; come infiniti progressi ha fatto la chimica quando ha scoperto che quei quattro che si credevano primi elementi, erano composti, ed è giunta a trovar sostanze, se non del tutto elementari ed ultime esse stesse, certo molto più semplici delle prima conosciute.
[1276,1]   1276 Voglio portare in conferma di ciò un altro esempio, oltre ai già riferiti, per mostrare quanto giovino i lumi archeologici alla ricerca delle antichissime radici. Silva è radice in latino, cioè non {nasce} da verun'altra parola latina {conosciuta.} Osservate però quanto ella sia mutata dalla sua vecchia {e forse prima} forma. ῞Yλη è lo stesso che silva per consenso di quasi tutti gli etimologi. Or come la parola latina ha una s e un v davantaggio che la greca? Quanto alla s vedi quello che ho notato altrove p. 1127, vedi Jul. Pontedera Antiquitt. Latinn. Graecarumq. Enarrationes atque Emendatt. Epist. 2. Patav. Typis Seminar. 1740. p. 18. (le due prime epistole meritano di esser lette in questi propositi archeologici della lingua latina) ed ella è cosa già nota agli eruditi. {+Nelle stesse antiche iscrizioni greche si trova sovente il sigma innanzi alle parole comincianti per vocale, in luogo dell'aspirazione. Anzi questa scrittura s'è conservata in parecchie delle stesse voci greche, (come nelle latine): p. e. σῦκον pronunziavasi da principio ὗκον o ὖκον coll'aspirazione aspra o dolce, giacchè gli Eoli ne fecero Ⅎῦκον e i latini ficus. V. l'Encyclop. in S.} Quanto al v ecco com'io la discorro.
[1276,2]  L'antico H greco derivato dall'Heth Fenicio, Samaritano, ed Ebraico, col quale ha comune anche il nome ἦτα (giacchè il ταῦ greco deriva dal thau degli Ebrei), oltre alla figura, ec; non fu da principio altro segno che di un'aspirazione, (v. p. 1136. marg.) come lo fu sempre nel latino, e come lo era nell'alfabeto da cui venne il greco. (V. Cellar. Orthograph. Patav. ap. Comin. 1739. p. 40. fine. e l'Encyclop. méthodique. Grammaire. art. H. specialmente p. 215. e se vuoi, il Forcellini in H.) Abbiamo veduto che l'antico v latino non era altro che  1277 il digamma eolico, e questo non altro che un carattere che gli Eoli ponevano in luogo dell'aspirazione, anzi un segno di aspirazione esso stesso, e in somma fratello carnale dell'antico H greco. Antichissimamente pertanto la parola ὕλη pronunziavasi hulh con due aspirazioni l'una in capo, e l'altra da piè. {+(voglio dire insomma che l'η di ὕλη non era da principio lettera mobile, e puro carattere di desinenza, ma radicale, il che si deduce dal v che i latini hanno per lettera radicale in questa parola, cioè in silva.)} Ovvero pronunziavasi hilh giacchè non si può bene accertare qual fosse l'antichissima pronunzia dell'υ greco; se u simile al francese, come lo pronunziavano i greci ai buoni tempi; ovvero i, come lo pronunziano i greci moderni, come si pronunzia in moltissime voci latine o figlie o sorelle di voci greche, e come pronunziano i tedeschi il loro ü. Certo è che gli antichi latini pronunziarono {e scrissero} le parole che in greco si scrivevano per Y, ora per I ora per u, {+e quindi corrottamente {talvolta} anche per o, come da sumnus somnus ec. V. Pontedera l. c. nella p. preced..} Per y non mai, carattere greco, il quale graecorum caussa nominum adscivimus * dice Prisciano (lib. 1. p. 543. ap. Putsch.), ed è carattere non antico, come dice Cicerone, e pronunziavasi alla greca, come una u francese, secondo che apparisce da Marziano Capella. (V. Forcellini, l'Encyclop. e Cellar. Orthograph. p. 6 fine - 7 principio). Quindi nel nostro caso, gli antichi marmi e manoscritti, e gli eruditi, rigettano la scrittura di sylva sylvestris ec. per silva; scrittura  1278 corrotta e più moderna, introdottasi presso gli scrittori latino-barbari, come si può vedere nel Ducange. Il che per altro serve anch'esso a mostrare la derivazione o cognazione del latino silva col greco ὕλη, non essendoci altra ragione perchè l'uso di tempi ignorantissimi, e che non pensavano o sapevano nulla d'etimologie nè di greco, dovesse introdurre questa lettera greca {y} in una parola che gli antichi latini scrivevano per i; uso conservatosi fino a[a'] nostri tempi presso molti che scrivono ancora sylva e così ne' derivati. E forse a quel tempo in cui, secondo che dice Cicerone, si cominciò a scrivere e pronunziare (cioè per u gallico) Pyrrhus e Phryges ec. in luogo di Purrhus e Phruges che gli antichi scrivevano (v. Forcellini in Y); si cominciò anche a scrivere {e pronunziare} sylva: o certo in qualunque tempo questo accadesse, ebbe origine e causa dal vizio di volere in tutto conformare la scrittura e la pronunzia agli stranieri, nelle parole venute da loro, vizio che Cic. riprende nello stesso luogo. {+(osservazione molto applicabile ai francesi.)} E ciò mostra che dunque silva si considerò per tutt'una parola con ὕλη, quantunque la scrittura sylva sia viziosa. {+Presso gli stessi greci de' buoni tempi le parole che hanno la υ, quando subiscono le solite affezioni delle parole greche, cambiano spesso l'υ in ι, come da δύο si fa δίς, e ne' composti (come διπλοῦς, διττός, δίστομος διϕυής ec.) sempre δι-.}
[1278,1]  Tornando al proposito, ed oggi, e da lungo tempo, questa medesima lettera greca y, non per altro introdotta nell'alfabeto latino che per rappresentare l'υ greco, ed esprimere il suono della u francese,  1279 non si pronunzia in esso alfabeto nè in essa lingua, se non come i semplice. Così pure nello spagnuolo e nel francese, quando non è trasformato in i anche nella scrittura, come sempre lo è nella nostra lingua. E notate che in dette due lingue l'y si pronunzia i anche in parole {e nomi propri ec.} non derivati dal latino, {o che in latino non avevano detta lettera, o anche avevano l'i in sua vece. E l'y e l'i si scambiano a ogni tratto nella scrittura spagnuola e francese, massime in quelle non affatto moderne, giacchè oggi l'ortografia è più determinata.} {+(I francesi scrivono Sylvain pronunziando Silvain. V. anche il Diz. Spagnuolo in Syl.)} Notate ancora che i francesi conservano l'u gallico, e pure pronunziano l'y per i. Dal che apparisce che questa lettera grecolatina, perdè affatto e universalmente il suo primo suono, e cangiossi in i, come l'υ presso i greci. Ed è naturale l'affinità scambievole dell'i e dell'u, le più esili delle nostre vocali. V. p. 2152. fine. Infatti il suono della u francese o Lombarda (il Forcellini la chiama Bergamasca) partecipa della i come della u. E quegli stessi greci che pronunziavano il loro υ come i francesi la u, lo consideravano come una i piuttosto che come una u; voglio dire come una specie o inflessione ec. della i. Giacchè nel loro alfabeto lo chiamavano ὑψιλόν (come noi diciamo pure alla greca ipsilon) cioè υ tenue. Ora questo aggiunto di tenue non gli è dato ad altro oggetto che di distinzione, come l'ε si chiama parimente ἐψιλόν per distinguerlo dall'ἦτα. Ma i greci non hanno nel loro alfabeto altra u da cui bisognasse distinguere questo υ; bensì hanno un'altra i cioè l'ἰῶτα.
[1279,1]  Da hulh dunque pronunziato alla francese, e doppiamente aspirato, ovvero da hilh, fecesi hulf o hilf all'eolica, il che in latino (e in molte altre lingue per la somiglianza delle labiali f e v) pronunziossi, come abbiamo veduto, o da principio  1280 o col tempo hilv. Anzi il digamma eolico non doveva esser altro che una cosa di mezzo tra f e v, ed un'aspirazione che tenea della consonante, e tale divenne {pienamente} nel seguito. (Aspirazioni considerate per consonanti formali, ne ha pure lo spagnuolo ec.) Da hilv i latini, secondo il loro costume, fecero silv. E finalmente come presso i greci l'aspirazione H {perdendosi affatto,} passò ad esser lettera, e desinenza di ὕλη {+e cessò di esser carattere radicale;} così presso i latini la parola silv, raddolcendosi e formandosi la lingua, venne a ricevere la sua vocale terminativa a.
[1280,1]  Ecco quanti cangiamenti dovè subire la radice hulh o hilh (seppur questa fu la primissima parola) secondo le differenze de' popoli e de' tempi, prima ancora di passare dal suo semplice stato di radice a parola derivativa o composta, anzi prima pur di subire alcuna inflessione, giacchè ὕλη e silva {essendo} nominativi non hanno inflessione veruna. {+Ed aggiungete ancora, prima di divenir selva in italiano, giacchè la radice di questa parola italiana è parimente quell'hulh, e così tutte le più moderne parole che giornalmente oggi si parlano, hanno la loro antichissima, e per lo più irreconoscibilissima radice nelle lingue primitive.}
[1280,2]  Queste non sono etimologie stiracchiate, nè sogni, benchè etimologie lontanissime. E non volendoci prestar fede, perciò solo che sono lontane, e che a prima vista non si scorge somiglianza fra hulh e silva, non si creda di mostrarsi spirito forte, ma ignorante d'archeologia, di filologia, e della storia naturale degli organi umani, de' climi ec. come pur della storia certa e chiara di tante {altre} parole {e lingue,} similissima a questa;  1281 {{come di quelle stesse parole italiane che si sa di certo esser derivate dall'Arabo, dal greco, e dallo stesso latino,}} {+e che pur tanto hanno perduto della loro prima fisonomia, (in tanto minor tempo e varietà di casi) ed appena si possono ridurre alla loro origine.} Giacchè ci sono due generi d'incredulità, l'uno che viene dalla scienza, e l'altro {(ben più comune)} dall'ignoranza, e dal non saper vedere come possa essere quello che è, {conoscer pochi possibili ec. poche verità e quindi poche verisimiglianze ec. non saper quanto si stenda la possibilità. (v. p. 1391. fine.)}
[1281,1]  Se dunque non m'inganno, abbiamo trovato una radice primitiva, o prossima alla forma primitiva, dico hulh o hilh. Sarebbe tanto curioso quanto utile il ricercare questa parola, se esistesse, o altra che le somigliasse, nelle lingue straniere, principalmente orientali, da cui pare che derivassero antichissimamente le lingue occidentali, come pure le nazioni, le opinioni, i costumi, e che in somma l'oriente fosse abitato prima dell'occidente. Gli studi e le scoperte che i moderni negli ultimi tempi hanno fatte, e vanno facendo anche oggi nelle antichità orientali, pare che sempre più confermino questa proposizione {(già conforme al Cristianesimo, e alle antiche tradizioni pagane)} della maggiore antichità dell'oriente rispetto all'occidente, o almeno della società e civiltà orientale, generalmente parlando. {+Converrebbe consultare specialmente le lingue indiane.}
[1281,2]  Le lingue selvagge sarebbero anche adattate a queste ricerche, essendo verisimilmente le meno lontane dallo stato primitivo, come lo sono quelli che le parlano.
[1281,3]  Ma prima d'istituire tali ricerche bisogna fare un'ultima osservazione in questo proposito. Finora non abbiamo considerato che le variazioni nella forma esteriore di detta radice. Bisogna osservare anche quelle del significato. ῞Yλη non significa solamente  1282 selva, ma anche materia, materiale sostantivo ec. V. i Lessici. Anzi questo si pone per significato proprio d'essa parola. Quindi ‎‏יּלּדּיּהּ‏‎, hiuli presso i Rabbini significa materia o materia prima, termine filosofico. V. Johannis Buxtorfii Lex. Chaldaicum Talmudicum et Rabbinicum alla radice (fittizia) ‎‏וֹיּהּ‏‎, Basileę 1640. col. 605 fine - 606. {+Dove è notabile il modo nel quale è imitato il suono dell'υ greco, {o u francese;} cioè con due i ed una u; dal che 1. si conferma quello che ho detto p. 1279. che i greci consideravano detta lettera più come una i che come una u, 2. apparisce che l'antica pronunzia dell'υ greco durava ancor dopo trasformata quella dell'e lunga η, in i; giacchè l'η di ὕλη è espresso in questa parola rabbinica per la i lunga. Del resto la radice ‎‏וֹיּהּ‏‎ è mal formata dal Lessicografo, giacchè manca del lamed, lettera radicalissima nella voce surriferita. Si vede pure che conservavasi ancora l'aspirazione nella voce ὕλη, giacchè la He non ad altro oggetto che di rappresentar l'aspirazione, fu posta dai rabbini in detta voce.} ῞Yλη {significa} anche particolarmente legna o legname, o legno in genere. Così pure silva (v. Forcellini), altra prova dell'affinità di questo vocabolo col vocabolo greco. Non saprei dire, nè monta per ora assai, il ricercare quale dei detti significati fosse il primitivo, se quello di selva, o di legna, o di materia o materiale ec. Anche negli Scrittori latino-barbari si trova Sylva per Lignum, Materia. V. il Glossar. del Ducange. {{Vedilo anche in Hyle, e quivi pure il Forc.}}
[1282,1]  Bensì è curioso l'osservare che presso gli spagnuoli madera, lo stesso che materia, che i nostri antichi italiani dissero anche matera, non significa oggi altro che legno generalmente o legname. E presso i francesi è noto che bois significa tanto bosco o selva quanto legno in genere. V. i Diz. francesi, e la Crusca in selva, bosco, foresta, materia ec. se ha nulla in proposito. Anche fra noi poeticamente si direbbe molto bene selva {ec.} per legna ec. come presso a' poeti latini.
[1282,2]  Si potrebbe dunque e dovrebbe ricercare nelle lingue orientali ec. la radice hulh o hilh, non solo in  1283 senso di selva, ma anche di materia, di legno, o legname ec. e in qualsivoglia di questi si ritrovasse, servirebbe ugualmente di conferma al nostro ragionamento. (2.-5. Luglio 1821.). {{V. p. 2306.}}