1. Dicembre 1820.
[363,1]
I
doveri dipendono dalle credenze; quanti saranno dunque i simboli, tante
saranno le morali...
*
Chi non comprende che
dal momento che si rigetta ogni autorità vivente
*
(dunque la
morale determinata deriva dall'autorità
364 non
dalla natura), la regola de' costumi addiviene tanto
variabile e tanto incerta quanto la regola della fede?
*
Essai ec. poco sotto al luogo citato nel
pensiero
precedente.
[364,1]
Ogni
{uomo} ha diritto di giudicare di per se
stesso, e la diversità delle opinioni è tanto naturale quanto la
diversità de' gusti. Dott. Midleton
(Middleton)
Introductory Discourse to
a free Enquiry into the miraculous powers.
(Discorso preliminare alla libera Disquisizione sopra i
poteri miracolosi) p. 38.
*
[364,2] Quegli stessi che credono grave, o maggiore che non è,
ogni leggera malattia che loro sopravviene, caduti in qualche malattia grave o
mortale, la credono leggera, o minore che non è. E la cagione d'ambedue le cose
è la codardia che gli sforza a temere dove non è timore, e a sperare dove non è
speranza.
[364,3] La filosofia e la natura de' tempi e della vita
presente s'ha per capital nemica della Religione, ed è vero. Contuttociò se
l'uomo doveva esser filosofo, far della ragione quell'uso che ora ne fa,
conoscere tutto quello che ora conosce, e generalmente s'egli doveva vivere come
ora vive, e se i tempi dovevano essere quali ora sono, o il sistema della natura
e delle cose è totalmente assurdo e contraddittorio, o bisogna necessariamente
ammettere una Religione. Perchè se l'uomo doveva essere inevitabilmente
infelice, come ora accade, ne
365 segue che al primo
nell'ordine degli enti, è meglio il non essere che l'essere, ne segue che l'uomo
non solo non deve amare nè conservare la sua esistenza, ma distruggerla; in
maniera che la sua stessa esistenza rinchiuda non dirò un germe nè un principio
di distruzione, ma quasi una distruzione formale e completa; ne segue che la
vita ripugna alla vita, l'esistenza all'esistenza, giacchè l'uomo non verrebbe
ad esistere se non per cercare di non esistere, quando conoscesse il suo vero
destino. La qual cosa è un'assurdità e una contraddizione sostanziale e capitale
nel sistema della natura. Per lo contrario se l'uomo non doveva essere quale ora
è, se la natura l'aveva fatto diversamente, se gli aveva opposto ogni possibile
ostacolo al conoscere quello che ha conosciuto e al divenire quello ch'è
divenuto, allora dallo stato presente dell'uomo, e dalle assurdità che ne
risultano, non si può dedur nulla intorno al vero, naturale, primitivo ed
immutabile ordine delle cose; come se un animale si rompe una gamba, non se ne
può dedur nulla intorno all'ordine generale, perchè questo è un inconveniente
particolare. Così lo stato {presente} dell'uomo, e le
assurdità sue, dovranno esser considerate come una particolarità indipendente
dall'ordine e dal sistema generale e
366 destinato, e
costante, e primordiale. Che se anche non c'è più rimedio per l'uomo, nemmeno
per chi si tagli una gamba, o sia schiacciato da una pietra, c'è più rimedio.
Basta che il male non sia colpa della natura, non derivi necessariamente
dall'ordine delle cose, non sia inerente al sistema universale; ma sia come
un'eccezione, un inconveniente, un errore accidentale nel corso e nell'uso del
detto sistema. {{V. p.
370.
e 1079. fine.}}
[366,1]
Hanter frequentare, visitare spesso, aver familiarità
ec. verbo che Girard nei Sinonimi fa derivare
da hant (se ben mi ricordo) che nelle lingue del nord
significa congiungere o darsi le
mani, non potrebbe piuttosto derivare da ἀντάω? Ma bisognerebbe anche
vedere se quella parola settentrionale abbia nessuna relazione con questo verbo
greco.
[366,2] L'idea di una grave sventura (come anche di qualunque
grande e strana mutazione di cose in bene come in male) che ci sopraggiunga,
massimamente improvvisa, non si può concepire intera, se non altro ne' primi
momenti; anzi è sempre confusissima, debolissima, oscurissima, e
diffettosa[difettosa.] Non considero adesso
l'impressione e la sorpresa e il dolore ec. che deve naturalmente oscurar
l'anima, e intorpidirla. Ma ponete che vi si annunzi la morte di uno de' vostri
cari e familiari, anche preveduta. Il dispiacere,
367 la
rimembranza delle relazioni avute con lui, la novità che introduce nella vostra
vita, vale a dire il troncamento di tutte quelle relazioni, e il dover
considerare quella persona in un modo tutto diverso dal passato, cioè come
morta, come incapace di essere amata o beneficata, di amare e beneficare ec. ec.
tutte queste {cose} che si presentano in folla alla
vostra mente, vi cagionano una confusione un imbarazzo uno stupore tale, che voi
in luogo di considerare ciascuna parte della cosa, non ne considerate nessuna,
non siete capace di valutare nè l'estensione nè la profondità nè la natura della
cosa, nè di formarvene un concetto preciso, e restandovi solamente l'idea in
genere e confusamente, non siete capace di pensarvi, nè vi pensate formalmente,
non dirò perchè non vogliate pensarvi, ma perchè non sapete pensarvi. E quindi
accade quella cosa osservatissima che le grandi mutazioni, sieno disgrazie,
sieno fortune, al primo momento istupidiscono, e non è se non col tempo, che voi
considerandone ciascuna parte, ne cominciate a piangere o rallegrarvene
separatamente. Giacchè questo pure è notabile, che l'atto del piangere o
rallegrarsi ec. insomma l'espressione τοῦ πάθους cade sempre sopra una parte
della cosa, non già sul tutto, perchè l'anima non è capace di abbracciar questo
tutto, in uno stesso tempo. P. e., nel
368 caso detto di
sopra, voi comincerete a piangere per una determinata rimembranza, per una tal
riflessione sopra il futuro o il presente, e per simili cose, che non potete
ravvisare, e separare, e concepire nel primo momento, nè durante
le[la] prima impressione. Ma finattanto che
l'idea {o la cosa} vi si presenterà tutta intera, e voi
non potrete distinguerne, e noverarne le parti, voi non piangerete mai, nè
sarete commosso determinatamente, ma solo confusamente. E neanche dopo lungo
tempo, voi non piangerete mai per la considerazione totale e generale della
disgrazia intera. (1. Dec. 1820.)