12-23. Luglio 1820.
[165,1]
165 Il sentimento della nullità di tutte le cose, la
insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l'animo, e la tendenza nostra
verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione
semplicissima, e più materiale che spirituale. L'anima umana (e {così} tutti gli esseri viventi) desidera sempre
essenzialmente, e mira unicamente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia
alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere. Questo desiderio
e questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o congenita coll'esistenza, e
perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non {può essere} infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha
limiti 1. nè per durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere nessun
piacere che uguagli 1. nè la sua durata, perchè nessun piacere è eterno, 2. nè
la sua estensione, perchè nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose
porta che tutto esista limitatamente, e tutto abbia confini, e sia circoscritto.
Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata, perchè, come ho detto
non finisce se non coll'esistenza, e quindi l'uomo non esisterebbe se non
provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch'è sostanziale in
noi, non come desiderio di uno {o più} piaceri, ma come
desiderio del piacere. Ora una tal
natura porta con se materialmente l'infinità, perchè ogni piacere è
circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeterminata, e l'anima
amando sostanzialmente il piacere,
abbraccia tutta l'estensione immaginabile di questo sentimento, senza poterla
neppur concepire, perchè non si può formare idea chiara di una cosa ch'ella
desidera illimitata. Veniamo alle conseguenze. Se tu desideri un cavallo, ti
pare di desiderarlo come cavallo, {e come un tal piacere,} ma in fatti
lo desideri come piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il
cavallo,
166 trovi un piacere necessariamente
circoscritto, e senti un vuoto nell'anima, perchè quel desiderio che tu avevi
effettivamente, non resta pago. Se anche fosse possibile che restasse pago per
estensione, non potrebbe per durata, perchè la natura delle cose porta ancora
che niente sia eterno. E posto che quella material cagione che ti ha dato un tal piacere una volta, ti resti sempre
(p. e. tu hai desiderato la ricchezza, l'hai ottenuta, e per sempre), resterebbe
materialmente, ma non più come cagione neppure di un tal piacere, perchè questa
è un'altra proprietà delle cose, che tutto si logori, e tutte le impressioni
appoco a poco svaniscano, e che l'assuefazione, come toglie il dolore, così
spenga il piacere. Aggiungete che quando anche un piacere provato una volta ti
durasse tutta la vita, non perciò l'animo sarebbe pago, perchè il suo desiderio
è anche infinito per estensione, così che quel tal piacere quando uguagliasse la
durata di questo desiderio, non potendo uguagliarne l'estensione, il desiderio
resterebbe sempre, o di piaceri sempre nuovi, come accade in fatti, o di un
piacere che riempiesse tutta l'anima. Quindi potrete facilmente concepire come
il piacere sia cosa vanissima sempre, del che ci facciamo tanta maraviglia, come
se ciò venisse da una sua natura particolare, quando il dolore la noia ec. non
hanno questa qualità. Il fatto è che quando l'anima desidera una cosa piacevole,
desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal piacere; ora
nel fatto trovando un piacere particolare, e non astratto, e che comprenda tutta
l'estensione del piacere, ne segue che il suo desiderio non essendo soddisfatto
di gran lunga, il piacere appena è piacere, perchè non si tratta di una piccola
ma di una somma
167 inferiorità al desiderio {e oltracciò alla speranza.} E perciò tutti i piaceri
debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perchè l'anima nell'ottenerli
cerca avidamente quello che non può trovare, cioè un[una] infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio
illimitato.
[167,1] Veniamo alla inclinazione dell'uomo all'infinito.
Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell'uomo una facoltà
immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui
le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell'uomo al piacere, è
naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni
della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza
immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli
infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che
non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale
derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia 1. che la
speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicità umana non possa
consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni. Quindi bisogna
considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura, che da una
parte non potendo spogliar l'uomo e nessun essere vivente, dell'amor del piacere
che è una conseguenza immediata e quasi tutt'uno coll'amor proprio e della
propria conservazione necessario alla sussistenza delle cose, dall'altra parte
non potendo fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire {1.} colle illusioni, e di queste è stata loro
liberalissima, {e bisogna considerarle come cose arbitrarie
in natura, la quale poteva ben farcene senza,} 2. coll'immensa varietà
168 acciocchè l'uomo stanco o disingannato di un
piacere ricorresse all'altro, o anche disingannato di tutti i piaceri fosse
distratto e confuso dalla gran varietà delle cose, ed anche non potesse così
facilmente stancarsi di un piacere, non avendo troppo tempo di fermarcisi, e di
lasciarlo logorare, e dall'altro canto non avesse troppo campo di riflettere
sulla incapacità di tutti i piaceri a soddisfarlo. Quindi deducete le solite
conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni in ordine alla
felicità. 1. L'immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità
umana. Quanto più questa regnerà nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice. Lo
vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l'ignoranza, almeno una
certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei
limiti e definizioni delle cose, circoscrive l'immaginazione. E osservate che la
facoltà immaginativa essendo spesse volte più grande negl'istruiti che
negl'ignoranti, non lo è in atto come in potenza, e perciò operando molto più
negl'ignoranti, li fa più felici di quelli che da natura avrebbero sortito una
fonte più copiosa di piaceri. E notate in secondo luogo che la natura ha voluto
che l'immaginazione non fosse considerata dall'uomo come tale, cioè non ha
voluto che l'uomo la considerasse come facoltà ingannatrice, ma la confondesse
colla facoltà conoscitrice, e perciò avesse i sogni dell'immaginazione per cose
reali e quindi fosse animato dall'immaginario come dal vero (anzi più, perchè
l'immaginario ha forze più naturali, e la natura è sempre superiore alla
ragione). Ma ora le persone istruite, quando anche sieno fecondissime
d'illusioni, le hanno per tali, e le seguono più per volontà che per
persuasione, al contrario degli antichi
169
degl'ignoranti de' fanciulli e dell'ordine della natura. 2. Tutti i piaceri,
come tutti i dolori ec. essendo tanto grandi quanto si reputano, ne segue che in
proporzione della grandezza {e copia} delle illusioni
va la grandezza e copia de' piaceri, i quali sebbene neanche gli antichi li
trovassero infiniti, tuttavia li trovavano grandissimi, e capaci se non di
riempierli, almeno di trattenerli a bada. La natura non volea che sapessimo, e
l'uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare. Quindi e trovando
ciascun piacere molto più grande che noi non facciamo, e dandogli
coll'immaginazione un'estensione quasi illimitata, e passando di desiderio in
desiderio, colla speranza di piaceri maggiori e di un'intera soddisfazione,
conseguivano il fine voluto dalla natura, che è di vivere se non paghi
intieramente di quella tal vita, almeno contenti della vita in genere. Oltre la
detta varietà che li distraeva infinitamente, e li faceva passare rapidamente da
una cosa all'altra senz'aver tempo di conoscerla a fondo, nè di logorare il
piacere coll'assuefazione. 3. La speranza è infinita come il desiderio del
piacere, ed ha di più la forza se non di soddisfar l'uomo, almeno di riempierlo
di consolazione, e di mantenerlo in piena vita. La speranza propria dell'uomo,
degli antichi, fanciulli, ignoranti, è quasi annullata per il moderno sapiente.
V. il pensiero che incomincia Racconta, p. 162.
[169,1] Del resto il desiderio del piacere essendo
materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo ma in ogni
vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder subito i limiti
della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli scorge solamente da
presso. Quindi è manifesto 1. perchè tutti
170 i beni
paiano bellissimi {e sommi} da lontano, {e l'ignoto sia più bello del noto;} effetto della
immaginazione determinata[determinato] dalla
inclinazione della natura al piacere, effetto delle illusioni voluto dalla
natura. 2. perchè l'anima preferisca in poesia e da per tutto, il bello aereo,
le idee infinite. Stante la considerazione qui sopra detta, l'anima deve
naturalmente preferire agli altri quel piacere ch'ella non può abbracciare. Di
questo bello aereo, di queste idee abbondavano gli antichi, abbondano i {loro} poeti, massime il più antico cioè Omero, abbondano i fanciulli veramente
Omerici in questo, (v. il pensiero Circa l'immaginazione, p. 57. e l'altro p. 100.) gl'ignoranti ec. in somma la
natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce difficilissimo il
provarne. La malinconia, il sentimentale moderno ec. perciò appunto sono così
dolci, perchè immergono l'anima in un abbisso di pensieri indeterminati de'
quali non sa vedere il fondo nè i contorni. E questa pure è la cagione perchè
nell'amore ec. come ho detto p. 142.
Perchè in quel tempo l'anima si spazia in un vago e indefinito. Il tipo di
questo bello è[e] di queste idee non esiste nel
reale, ma solo nella immaginazione, e le illusioni sole ce le possono
rappresentare, nè la ragione ha verun potere di farlo. Ma la natura nostra n'era
fecondissima, e voleva che componessero la nostra vita. 3. perchè l'anima nostra
odi tutto quello che confina le sue sensazioni. L'anima cercando il piacere in
tutto, dove non lo trova, già non può esser soddisfatta. Dove lo trova, abborre
i confini per le sopraddette ragioni. Quindi vedendo la bella natura, ama che
l'occhio si spazi quanto è possibile. La qual cosa il Montesquieu
(Essai sur le goût, De la
curiosité. p. 374. 375.) attribuisce alla curiosità. Male.
La curiosità non è altro che una determinazione
171
dell'anima a desiderare quel tal piacere, secondo quello che dirò poi. Perciò
ella potrà esser la cagione immediata di questo effetto, (vale a dire che se
l'anima non provasse piacere nella vista della campagna ec. non desidererebbe
l'estensione di questa vista), ma non la primaria, nè questo effetto è speciale
e proprio solamente delle cose che appartengono alla curiosità, ma di tutte le
cose piacevoli, e perciò si può ben dire che la curiosità è cagione immediata
del piacere che si prova vedendo una campagna, ma non di quel desiderio che
questo piacere sia senza limiti. Eccetto in quanto ciascun desiderio di ciascun
piacere {può essere} illimitato e perpetuo nell'anima,
come il desiderio generale del piacere. Del rimanente alle volte l'anima
desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi
modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il
desiderio dell'infinito, perchè allora in luogo della vista, lavora
l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s'immagina quello
che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va
errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua
vista si estendesse da per tutto, perchè il reale escluderebbe l'immaginario.
Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il
cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano.
Al contrario la vastità e moltiplicità delle sensazioni diletta moltissimo
l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande ec. Non è questa la ragione.
Ma proviene da ciò, che la moltiplicità delle sensazioni, confonde l'anima,
172 gl'impedisce di vedere i confini di ciascheduna,
toglie l'esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare d'un piacere in un
altro senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo
a un piacere infinito. Parimente la vastità quando anche non sia moltiplice,
occupa nell'anima un più grande spazio, ed è più difficilmente esauribile. La
maraviglia similmente, rende l'anima attonita, l'occupa tutta e la rende
incapace in quel momento di desiderare. Oltre che la novità (inerente alla
maraviglia) è sempre grata all'anima, la cui maggior pena è la stanchezza dei
piaceri particolari.
[172,1] Da questa teoria del
piacere deducete che la grandezza anche delle cose non piacevoli per
se stesse, diviene un piacere per questo solo ch'è grandezza. E non attribuite
questa cosa alla grandezza immaginaria della nostra natura. Posta la detta
teoria, si viene a conoscere (quello ch'è veramente) che il desiderio del
piacere diviene una pena, e una specie {di travaglio}
abituale dell'anima. Quindi 1. un assopimento dell'anima è piacevole. I turchi
se lo proccurano coll'oppio, ed è grato all'anima perchè in quei momenti non è
affannata dal desiderio, perchè è come un riposo dal desiderio tormentoso, e
impossibile a soddisfar pienamente; {un intervallo come il
sonno nel quale se ben l'anima forse non lascia di pensare, tuttavia non se
n'avvede.} 2. la vita continuamente occupata è la più felice, quando
anche non sieno occupazioni e sensazioni vive, e varie. L'animo occupato è
distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace, o lo rivolge a
quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro {il
provvedere ai suoi bisogni ordinari ec.} ec. ec.) giacchè li considera
allora come piaceri (essendo piacere tutto quello che l'anima desidera), e
conseguitone uno, passa a un altro, così che è distratto da desideri maggiori, e
non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose, e la speranza
di quei
173 piccoli fini, e i {piccoli} disegni sulle occupazioni {avvenire} o sulle speranze di un esito {generale} lontano e desiderato, bastano a riempierlo, e a trattenerlo
nel tempo del suo riposo, il quale non è troppo lungo perchè sottentri la noia;
oltre che il riposo dalla fatica è un piacere per se. Questa dovea esser la vita
dell'uomo, ed era quella dei primitivi, ed è quella dei selvaggi, {degli agricoltori ec.} e gli animali non per altra
cagione se non per questa principalmente, vivono felici. Ed osservate come lo
spettacolo della vita occupata laboriosa e domestica, sembri anche oggidì, a chi
vive nel mondo, lo spettacolo della felicità, anche per la mancanza dei dolori,
e delle cure e afflizioni reali. 3. il maraviglioso, lo straordinario è
piacevole, quantunque la sua qualità particolare non appartenga a nessuna classe
delle cose piacevoli. L'anima prova sempre piacere quando è piena (purchè non
sia di dolore), e la distrazione viva ed intera è un piacere {rispetto a lei} assolutamente, come il riposo dalla fatica è piacere,
perchè una tal distrazione è riposo dal desiderio. E come è piacevole lo stupore
cagionato dall'oppio (anche relativamente alla dimenticanza dei mali positivi),
così quello cagionato dalla maraviglia, dalla novità, e dalla singolarità.
Quando anche la maraviglia non sia tanta che riempia l'anima, se non altro
l'occupa sempre fortemente, ed è piacevole per questa parte. Notate che la
natura aveva voluto che la maraviglia {1.} fosse cosa
ordinarissima all'uomo, 2. fosse {spessissimo} intera,
cioè capace di riempier tutta l'anima. Così accade ne' fanciulli, e accadeva ne'
primitivi, e ora negl'ignoranti, ma non può accadere senza l'ignoranza, e
l'ignoranza d'oggi non può mai esser come quella dell'uomo che non vive in
società, perchè vivendo in società,
174 l'esperienza de'
passati e de' presenti l'istruisce, più o meno, ma sempre l'istruisce, e la
novità diventa rara. 4. anche l'immagine del dolore e delle cose terribili ec. è
piacevole, come ne' drammi e poesie d'ogni sorta, spettacoli ec. Purchè l'uomo
non tema o non si dolga per se, la forza della distrazione gli è sempre
piacevole. Non è bisogno che quelle immagini siano di cose straordinarie: in
questo caso cadrebbero sotto la categoria precedente. Ma la semplice immagine
del dolore ec. è sufficiente a riempier l'animo e distrarlo. 5. la grandezza di
ogni qualsivoglia genere (eccetto del proprio {male}) è
piacevole. Naturalmente il grande occupa più spazio del piccolo, salvo se la
piccolezza è straordinaria, nel qual caso occupa più della grandezza ordinaria.
Questo ch'io dico della grandezza è un effetto materiale derivante dalla
inclinazione dell'uomo al piacere, e non dalla inclinazione alla grandezza. Si
potrebbe forse dir lo stesso del sublime, il quale è cosa diversa dal bello ch'è
piacevole all'uomo per se stesso. In somma la noia non è altro che una mancanza
del piacere che è l'elemento della nostra esistenza, e di cosa che ci distragga
dal desiderarlo. Se non fosse la tendenza imperiosa dell'uomo al piacere sotto
qualunque forma, la noia, quest'affezione tanto comune, tanto frequente, e tanto
abborrita non esisterebbe. E infatti per che motivo l'uomo dovrebbe sentirsi
male, quando non ha male nessuno? Poniamo un uomo isolato senza nessuna
occupazione spirituale o corporale, e senza nessuna cura o afflizione o dolor
positivo, o annoiato
175 dalla uniformità di una cosa
non penosa nè dispiacevole per sua natura, e ditemi per che motivo quest'uomo
deve soffrire. E pur vediamo che soffre, e si dispera, e preferirebbe qualunque
travaglio a quello stato. (Anzi è famosa la risposta affermativa data dai medici
consultati dal duca di Brancas, se la
noia potesse uccidere: Lady Morgan
France l. 8. notes) Non per altro se non per un
desiderio ingenito e compagno inseparabile dell'esistenza, che in quel tempo non
è soddisfatto, non ingannato, non mitigato, non addormentato. E la natura è
certo che ha provveduto in tutti i modi contro questo male, all'orrore e
ripugnanza del quale nell'uomo, si può paragonare quell'orrore del vuoto che gli
antichi fisici supponevano nella natura, per ispiegare alcuni effetti naturali.
Ha provveduto col dare all'uomo molti bisogni, e nella soddisfazione del bisogno
(come della fame e della sete, {freddo, caldo ec.})
porre il piacere, quindi col volerlo occupato; colla gran varietà, {colla immaginazione che l'occupa anche del nulla,} ed
anche col timore (il quale sebbene è un effetto naturale e spontaneo anch'esso
dell'amor proprio, tuttavia bisogna considerare il sistema della natura in
genere, e la mirabile armonia e corrispondenza di diversi effetti a questo o
quello scopo), coi pericoli i quali affezionano maggiormente alla vita, e
sciolgono la noia, {colle turbazioni degli elementi,}
coi dolori e coi mali istessi, perchè è più dolce il guarir dai mali, che il
vivere senza mali; {+e con tali altri
disastri, che si considerano come mali, e quasi difetti della natura,
scusandola col definirli per accidenti fuori dell'ordine; ma che forse
essendo tali ciascuno, non lo sono tutti insieme; ed appartengono anch'essi
al gran sistema universale.} In somma il sistema della natura rispetto
all'uomo è sempre diretto ad allontanar da lui questo male formidabile della
noia, che a detta di tutti i filosofi essendo così frequente all'uomo moderno, è
quasi sconosciuto al primitivo (e così agli animali). E osservate come i
fanciulli {anche} in una quasi perfetta inazione, pur
di rado o {non} mai sentano
176
il vero tormento della noia, perchè ogni minima bagattella basta ad occuparli
tutti interi, e la forza della loro immaginazione dà corpo e vita e azione ad
ogni fantasia che si affacci loro alla mente ec. e trovano in somma in se stessi
una sorgente inesauribile di occupazioni {e} sempre
varie. Questo senza cognizioni, senza esperienze, senza viaggi, senz'aver veduto
udito ec. in un mondo ristrettissimo {e uniforme.} E
laddove parrebbe che quanto più questo mondo e questo campo si accresce {e diversifica,} tanto più {ampio e
vario per} l'uomo dovesse essere il fondo delle occupazioni interne
come son quelle dei fanciulli, {e la noia tanto più
rara,} nondimeno vediamo accadere tutto il contrario. Gran lezione per
chi non vuol riconoscere la natura come sorgente quasi unica di felicità, e
l'alterazione di lei, come certa cagione d'infelicità. Del resto che la forza e
fecondità dell'immaginazione 1. come rende facilissima l'azione, così
spessissimo renda facile l'inazione, 2. sia cosa ben diversa dalla profondità
della mente, la quale per lo contrario conduce all'infelicità, è manifesto per
l'esempio de' popoli meridionali, segnatamente degl'italiani, rispetto ai
settentrionali. Giacchè gl'italiani {1.} come una volta
per il loro entusiasmo figlio di un'immaginazione viva e più ricca che profonda,
erano attivissimi, così ora una delle cagioni per cui non si accorgono o {almeno} non si disperano affatto di una vita sempre
uniforme, e di una perfetta inazione, è la stessa immaginazione ugualmente ricca
e varia, e la soprabbondanza delle sensazioni che ne deriva, la quale gl'immerge
senza che se n'avvedano in una specie di rêve, come i
fanciulli quando son soli ec. cosa continuamente inculcata dalla Staël, {laddove i
settentrionali non avendo tal sorgente di occupazione interna atta a
consolarli, per necessità ricorrono all'esterna, e divengono
attivissimi.} 2. la profondità della mente,
177 e la facoltà di penetrare nei più intimi recessi del vero dell'astratto ec.
quantunque non sia loro ignota a cagione della loro sottigliezza, {prontezza e penetrazione, (che rende loro più facile il
concepimento e la scoperta del vero, laddove agli altri bisogna più fatica,
e perciò spesso sbagliano con tutta la profondità)} contuttociò non è
il loro forte, e per lo contrario forma tutta l'occupazione e quindi
l'infelicità dei settentrionali colti (osservate perciò la frequenza de' suicidi
in inghilterra) i quali non hanno cosa che li distragga
dalla considerazione del vero. E quantunque paia che l'immaginazione anche
appresso loro sia caldissima originalissima ec. tuttavia quella è piuttosto
filosofia e profondità, che immaginazione, e la loro poesia piuttosto metafisica
che poesia, venendo più dal pensiero che dalle illusioni. {E
il loro sentimentale è piuttosto disperazione che consolazione.} E la
poesia antica perciò appunto non è stata mai fatta per loro; perciò appunto
hanno gusti tutti differenti, e si compiacciono degli {enti} allegorici, delle astrazioni ec. (V. p. 154.) perciò appunto sarà sempre vero che la
nostra è propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero.
(v. p. 143-144.)
[177,1] Dopo che la natura ha posto nell'uomo una inclinazione
illimitata al piacere, è rimasta libera di fare che questa o quella cosa fosse
considerata come piacere. Perciò le cagioni per cui una cosa è piacevole, sono
indipendenti dalla sovresposta teoria, dipendendo dall'arbitrio della natura il
determinare {in} qual cosa dovessero consistere i
piaceri, e conseguentemente quali particolari dovessero esser l'oggetto della
sopraddetta inclinazione dell'uomo. Esclusi quei piaceri che ho annoverati poco
sopra (p. 172. segg.), {i} quali sono piaceri, non perch'è piaciuto alla natura
di volerli tali indipendentemente dalla inclinazione dell'uomo al piacere, ma
solamente o principalmente per questo, che l'uomo desidera
178 illimitatamente il piacere. Del resto la virtù, i piaceri
corporali, quelli della curiosità (v. se
vuoi Montesquieu nel luogo
citato
{p. 170.} qui sopra) (giacchè, come ho detto,
per piacere intendo e vanno intese tutte le cose che l'uomo desidera) ec. ec.
sono piaceri perchè la natura ha voluto, e potevano non essere con tutta la
inclinazione dell'uomo al piacere, come l'idea {assoluta} che l'uomo ha della convenienza non è ragione perchè queste
o quelle cose gli paiano convenienti, e belle. E dei piaceri altri sono comuni,
altri particolari di questa o quella nazione, altri di questa o quella classe
d'uomini, come i piaceri appartenenti all'avarizia all'ambizione ec., altri
{anche} individuali, secondo le assuefazioni, le
opinioni, le costituzioni corporali, i climi ec. come l'idea rispettiva della
bellezza dipende dalle assuefazioni costumi opinioni ec. (v. Montesquieu
l. c. De la sensibilité. p. 392.) E la natura ha posto nell'uomo
diverse qualità delle quali altre si sviluppano necessariamente, altre o si
sviluppano o restano chiuse e inattive secondo le circostanze. E di queste
seconde altre la natura voleva, o non proibiva che si sviluppassero, altre non
voleva, e sviluppandosi, rendono l'uomo infelice. E la cagione per cui le ha
poste nell'uomo {non volendo che sviluppassero,} starà
nel sistema profondo della natura, e probabilmente si potrebbe scoprire, se non
ci fermassimo adesso sul generale. Secondo queste diverse qualità, l'uomo trova
piacevoli diverse cose, e l'uomo incivilito prova diversi piaceri dal primitivo,
e sentirà dei piaceri che il primitivo non provava, e non proverà molti di
quelli che il primitivo provava. E perciò dall'esserci ora piacevole una cosa il
cui piacere dipenda dal nostro eccessivo incivilimento, non deduciamo che questo
era voluto dalla natura. E se ora
179 p. e. l'eccessiva
curiosità del vero ci proccura molti piaceri quando arriviamo a conoscerlo, non
perciò dobbiamo stimare che la natura ci volesse così curiosi, nè che questi
piaceri sieno naturali, nè che l'uomo naturale ne avesse gran vaghezza, o non
sapesse benissimo contenersi in questo desiderio, nè per conseguenza che
l'infelicità dell'uomo fosse necessaria, e provenga dalla natura assoluta
dell'uomo, quando proviene dalla nostra rispettiva e corrotta. Perchè molte
circostanze che hanno sviluppato in noi questa o quella qualità non erano volute
dalla natura, e provengono dall'uomo e non da lei. Del resto atteso la detta
teoria de' piaceri particolari,
potrebbe anche essere che l'idea dell'infinito, {la
maraviglia} e qualcuna delle cose piacevoli che ho annoverate come
tali a cagione solamente dell'inclinazione nostra al piacere, fossero piacevoli
anche indipendentemente da questa; e la ragione fosse l'arbitrio della natura,
come negli altri piaceri. Mi sembra però che la ragione della loro piacevolezza
sia bastantemente spiegata nel modo che ho fatto, e che tutti i loro accidenti
possano cadere sotto quelle considerazioni.
[179,1] L'infinità della inclinazione dell'uomo al piacere è
un'infinità materiale, e non se ne può dedur nulla di grande o d'infinito in
favore dell'anima umana, più di quello che si possa in favore dei bruti nei
quali è naturale ch'esista lo stesso amore e nello stesso grado, essendo
conseguenza immediata e necessaria dell'amor proprio, come spiegherò poco sotto.
Quindi nulla si può dedurre in questo particolare dalla inclinazione dell'uomo
all'infinito, e dal sentimento della nullità delle cose (sentimento non naturale
nell'uomo, e che perciò non si trova nelle bestie, come neanche nell'uomo
180 primitivo, ed è nato da circostanze accidentali che
la natura non voleva). E il desiderio del piacere essendo una conseguenza della
nostra esistenza per se, e per ciò solo infinito, e compagno inseparabile
dell'esistenza come il pensiero, tanto può servire a dimostrare la spiritualità
dell'anima umana, quanto la facoltà di pensare. Anzi è notabile come quel
sentimento che pare a prima giunta la cosa più spirituale dell'animo nostro
(v. p. 106.-107.), sia una
conseguenza immediata e necessaria (nella nostra condizione presente) della cosa
più materiale che sia negli esseri viventi cioè dell'amor proprio e della
propria conservazione, di quella cosa che abbiamo affatto comune coi bruti, e
che per quanto possiamo comprendere può parer propria in certo modo di tutte le
cose esistenti. Certamente non c'è vita senza amor di se stesso, e amor della
vita. Quanto poi alla facoltà che ha l'immaginazione nostra di concepire un
certo infinito, un piacere che l'anima non possa abbracciare, cagione vera per
cui l'infinito le piace, quanto dico a questa facoltà, la quale è indipendente
dalla inclinazione al piacere, e stava in arbitrio della natura di darcela o non
darcela, giudichi ciascuno quanto possa provare in favore della nostra
grandezza. Io per me credo {1.} che la natura l'abbia
posta in noi solamente per la nostra felicità temporale, che non poteva stare
senza queste illusioni. 2. osservo che questa facoltà è grandissima nei
fanciulli, primitivi, ignoranti, barbari ec. Quindi congetturo e mi par ben
verisimile che esista anche nelle bestie in un certo grado, e relativamente a
certe idee, come son quelle dei fanciulli ec. 3. considero che la ragione, la
quale si vuole avere per fonte della nostra grandezza, e cagione della nostra
superiorità sopra gli altri animali, qui non ha che far niente, se non per
181 distruggere; per distruggere quello che v'ha di più
spirituale nell'uomo, perchè non c'è cosa più spirituale del sentimento nè più
materiale della ragione, giacchè il raziocinio è un'operazione matematica
dell'intelletto, e materializza e geometrizza anche le nozioni più astratte. 4.
che le illusioni sono {anzi} affatto naturali, animali,
atti dell'uomo e non umani secondo il linguaggio scolastico, ed appartenenti
all'istinto, il quale abbiamo comune cogli altri animali, se non fosse affogato
dalla ragione. Applicate queste considerazioni a quello che soglion dire gli
scrittori religiosi, che il non poter noi trovarci mai soddisfatti in questo
mondo, i nostri slanci verso un infinito che non comprendiamo, i sentimenti del
nostro cuore, e cose tali che appartengono veramente alle illusioni, formino una
delle principali prove di una vita futura.
[181,1] Tutto il sopraddetto intorno alla teoria del piacere è un nuovo argomento del quanto si
potrebbe semplificare la teoria dell'uomo e delle cose, (v. p. 53.) e del come il sistema intero della natura
si aggiri sopra pochissimi principii i quali producono gl'infiniti e
variatissimi effetti che vediamo, e stabiliti i quali, si direbbe che la natura
ha avuto poco da faticare, perchè le conseguenze ne son derivate necessariamente
e come spontaneamente. I fenomeni dell'animo umano notati dai moderni psicologi
perderebbero tutta la maraviglia, la quale deriva {ordinariamente} dall'ignoranza della relazione e dipendenza che hanno
gli effetti particolari colle cause generali. P. e. quei fenomeni che ho
analizzati e spiegati di sopra, derivano immediatamente da un principio
notissimo, che è l'amor del piacere. E questo amor del piacere è
182 una conseguenza spontanea dell'amor di se e della
propria conservazione. Questo è un principio anche più noto e universale, e
quasi finale. Tuttavia quantunque la natura potesse separar queste due cose,
esistenza e amor di lei, e perciò l'amor proprio sia una qualità posta da lei
arbitrariamente nell'essere vivente, a ogni modo la nostra maniera di concepir
le cose appena ci permette d'intendere come una cosa che è, non ami di essere,
parendo che il contrario di questo amore, sarebbe come una contraddizione
coll'esistenza - Perciò l'amor proprio si può considerare ancor esso (nella
natura quale la vediamo) come una conseguenza dell'esistere, e questo in certo
modo anche negli esseri inanimati. Ora discendiamo. Esistenza - amore
dell'esistenza (quindi della conservazione di lei, e di se stesso) - amor del
piacere (è una conseguenza immediata dell'amor proprio, perchè chi si ama,
naturalmente è determinato a desiderarsi il bene che è tutt'uno col piacere, a
volersi piuttosto in uno stato di godimento che in uno stato indifferente o
penoso, a volere il meglio dell'esistenza ch'è l'esistenza piacevole, invece del
peggio, o del mediocre ec.) - amore dell'infinito ec. colle altre qualità
considerate di sopra. Così queste qualità che paiono disparatissime {e particolarissime} vengono dirittamente dal principio
generale dell'amor proprio, e tanto necessariamente {e
materialmente,} che si può dire che la natura, dato che ebbe all'uomo
l'amor proprio, {e secondo la nostra maniera di concepire,
data che gli ebbe l'esistenza,} non ebbe da far altro, e le dette
qualità (delle quali ci facciamo tanta maraviglia), senza opera sua, vennero da
loro.
[183,1]
183 Conseguito un piacere, l'anima non cessa di
desiderare il piacere, come non cessa mai di pensare, perchè il pensiero e il
desiderio del piacere sono due operazioni egualmente continue e inseparabili
dalla sua esistenza. (12.-23. Luglio 1820.).