[1661,1] Il talento non è altro che facoltà d'imparare, cioè
di attendere, e di assuefarsi. Per imparare intendo anche le facoltà
d'inventare, di pensare, di sentire, di giudicare ec. Nessuno impara le sue
proprie invenzioni, pensieri, sentimenti, o i giudizi particolari ch'egli porta,
ma impara a farlo, e non lo può fare se non l'ha imparato, e se non ha
acquistato con maggiore o minore esercizio e copia di sensazioni, cioè di
esperienze, queste tali facoltà, che paiono affatto innate, e sono realmente
acquisite più o meno facilmente. La nostra mente in origine non ha altro che
maggiore
1662 o minor delicatezza e suscettibilità di
organi, cioè facilità di essere in diversi modi affetta, capacità, e
adattabilità, o a tutti o a qualche determinato genere di apprensioni, di
assuefazioni, concezioni, attenzioni. Questa non è propriamente facoltà, ma
semplice disposizione. Nella mente nostra non esiste originariamente nessuna
facoltà, neppur quella di ricordarsi. Bensì ell'è disposta in maniera che le
acquista, alcune più presto, alcune più tardi, mediante l'esercizio; ed in
alcuni ne acquista (gli altri dicono
sviluppa) più, in altri meno, in
alcuni meglio, in altri imperfettamente, in alcuni più, in altri meno
facilmente, {+in alcuni così in altri
così modificate, secondo le circostanze, che diversificano quasi i generi di
una stessa facoltà.} Come una persona di corporatura sveltissima ed
agilissima, è dispostissima al ballo. Non però ha la facoltà del ballo, se non
l'impara, ma solo una disposizione a poterlo facilmente e perfettamente imparare
ed eseguire. Così dico di tutte le altre facoltà ed abilità materiali. Nelle
quali ancora, oltre la disposizione
1663 felice del
corpo, giova ancora quella della mente, e la facoltà acquisita di attendere, di
assuefarsi e d'imparare. Senza cui, gli organi esteriori i meglio disposti alla
tale o tale abilità, stentano bene spesso non poco ad apprenderla, {e conservarla.}
(10. Sett. 1821.).
[1697,1]
Alla p. 1676.
fine. Parimente si può dire che tutte le assuefazioni, e quindi tutte
le cognizioni, e tutte le facoltà umane, non sono altro che imitazione. La
memoria non è che un'imitazione della sensazione passata, e le ricordanze
successive, imitazioni delle ricordanze passate. {+La memoria (cioè insomma l'intelletto) è quasi
imitatrice di se stessa.} Come s'impara se non imitando? Colui che
insegna (sia cose materiali, sia cose immateriali) non insegna che ad imitare
più in grande o più in piccolo, più strettamente o più largamente. Qualunque
abilità materiale che si acquista per insegnamento, si acquista per sola
imitazione. Quelle che si acquistano da se, si acquistano mediante successive
esperienze a cui l'uomo va attendendo, e poi imitandole, e nell'imitarle,
acquistando pratica, {e imitandole meglio} finch'egli
vi si perfeziona. Così dico delle facoltà intellettuali. La stessa facoltà del
pensiero, la stessa facoltà inventiva o perfezionativa in qualunque genere
materiale o spirituale, non è che una facoltà d'imitazione, non particolare ma
generale. L'uomo imita
1698 anche inventando, ma in
maniera più larga, cioè imita le invenzioni con altre invenzioni, e non acquista
la facoltà inventiva (che par tutto l'opposto della imitativa) se non a forza
d'imitazioni, ed imita nel tempo stesso che esercita detta facoltà inventiva, ed
essa stessa è veramente imitativa. V. la p. 1540. fine, e segg.
(14. Sett. 1821.).
[2132,1] La facoltà inventiva è una delle ordinarie, e
principali, e caratteristiche qualità e parti dell'immaginazione. Or questa
facoltà appunto è quella che fa i grandi filosofi, e i grandi scopritori delle
grandi verità. E si può dire che da una stessa sorgente,
2133 da una stessa qualità dell'animo, diversamente applicata, e
diversamente modificata e determinata da diverse circostanze e abitudini,
vennero i poemi di Omero e di Dante, e i Principii matematici della
filosofia naturale di Newton. Semplicissimo è il sistema e l'ordine della
macchina umana in natura, pochissime le molle, e gli ordigni di essa, e i
principii che la compongono, ma noi discorrendo dagli effetti che sono infiniti
e infinitamente variabili secondo le circostanze, le assuefazioni, e gli accidenti, moltiplichiamo gli elementi,
le parti, le forze del nostro sistema, e dividiamo, e distinguiamo, e
suddividiamo delle facoltà, dei principii, che sono realmente unici e
indivisibili, benchè producano e possano sempre produrre non solo nuovi, non
solo diversi, ma dirittamente contrarii effetti. L'immaginazione per tanto è la
sorgente della ragione, come del sentimento, delle
2134
passioni, della poesia; ed essa facoltà che noi supponiamo essere un principio,
una qualità distinta e determinata dell'animo umano, o non esiste, o non è che
una cosa stessa, una stessa disposizione con cento altre che noi ne distinguiamo
assolutamente, e con quella stessa che si chiama riflessione o facoltà di
riflettere, con quella che si chiama intelletto ec. Immaginazione e intelletto è
tutt'uno. L'intelletto acquista ciò che si chiama immaginazione, mediante gli
abiti e le circostanze, e le disposizioni naturali analoghe; acquista nello
stesso modo, ciò che si chiama riflessione ec. ec. (20. Nov.
1821.)
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