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Plutarco.

Plutarch.

2410 3475

[2408,1]  Che la lingua greca si conservasse incorrotta, o quasi incorrotta, tanto più tempo della latina, e anche dopo scaduta già la latina ch'era venuta in fiore tanto più tardi, si potrà spiegare anche osservando, che la letteratura (consorte indivisibile della lingua) sebbene era scaduta appresso i greci, pur aveva ancor tanto di buono, ed era eziandio capace di tal perfezione, che talvolta non aveva che invidiare all'antica. Esempio ne può essere la Spedizione di Alessandro, e l'Indica d'Arriano, opere di stile e di lingua così purgate, così uguali in ogni parte e continuamente a se stesse, senza sbalzi, risalti, slanci, voli o cadute di sorte alcuna (che sono le proprietà dello scriver sofistico e guasto, in qualsivoglia genere, lingua, e secolo corrotto), di semplicità e naturalezza e facilità {chiarezza, nettezza ec.} così spontanea ed inaffettata, così ricche, così  2409 proprie, così greche insomma nella lingua, e nella maniera, e nel gusto, che quantunque Arriano fosse imitatore, cioè quello stile e quella lingua non fossero cose naturali in lui ma procacciate collo studio de' Classici (come è necessario in ogni secolo dove la letteratura non sia primitiva) e principalmente di Senofonte, non per questo si può dire ch'egli non le avesse acquistate in modo che paiano e si debbano anzi chiamar sue, nè se gli può negare un posto se non uguale, certo vicinissimo a quello degl'imitati da lui. Ora il tempo d'Arriano fu quello d'Adriano e degli Antonini, nel qual tempo la letteratura latina, con tutto che fosse tanto meno lontana della greca dal suo secol d'oro, non ha opera nessuna che si possa di gran lunga paragonare a queste d'Arriano ne' suddetti pregi, come anche in quelli d'una ordinata e ben architettata narrazione, e altre tali virtù dello scriver di storie. Tacito fu alquanto anteriore, e nella perfezion della lingua non si potrebbe ragguagliar troppo bene ad Arriano: forse neanche nelle doti di storico appartenenti  2410 al bello letterario, sebben egli l'avanza di molto in quelle che spettano alla filosofia, politica ec. Ma quel che mantiene la lingua, è la bella letteratura, non la filosofia nè le altre scienze, che piuttosto contribuiscono a corromperla, come fece lo stile di Seneca. E però Plutarco contemporaneo di Tacito, e com'esso, alquanto più vecchio d'Arriano, non si può recar per modello nè di lingua nè di stile, essendo però stato forse più filosofo di tutti i filosofi greci, molti de' quali sono esempi di perfettissimo scrivere. Ma non erano così sottili come Plutarco, siccome Cicerone non lo era quanto Seneca, questi corrottissimo nello scrivere, e {{quegli}} perfettissimo. (1. Maggio 1822.).

[3472,1]  Del rimanente, egli è tanto certo che l'arte dello stile e del dire è propria esclusivamente degli antichi, quanto che l'arte del pensare è propria esclusivamente de' moderni. Gli antichi non solo facevano di quell'arte uno studio infinitamente maggiore che noi non facciamo; non solo ne possedevano e conoscevano mille parti, mille mezzi, mille secreti che noi neppur sospettiamo, e che appena e a gran fatica possiamo intendere quando e' gli spiegano e ne parlano exprofesso (come Cic. Quintil. ec.), non solo in somma la detta arte era senza paragone più ampia, stesa, ricca, varia, distinta, accurata, specificata, particolarizzata appo gli antichi che fra i moderni, ma essa era quasi l'unico, e senza quasi il principale studio degli antichi che pretendevano e aspiravano particolarmente al nome di scrittori, e massime di letterati. Si osservino sottilmente le opere d'Isocrate, di Senofonte e di tali altri cento. Tutte parole in sostanza  3473 senza più. Gli antichi letterati, se ben guardiamo, non si proponevano in conchiusione altro, che di dir bene, correttamente, cultamente e artifiziosamente, quello che tutti già sapevano e pensavano o facilissimamente avrebbero potuto e saputo pensare da se, ma pochi sapevano in quel modo significare. E non per altro in verità divenivano famosi che per questo (ancorchè forse nè gli altri nè essi se ne avvedessero, o avessero avuta questa intenzione espressa e distinta e a se medesimi manifesta), quando ottenevano il detto effetto. E non parlo già qui de' sofisti, i quali a differenza degli altri, avevano e professavano apertamente la detta intenzione e la facevano vedere; e questa si era l'unica diversità reale che passasse tra' più antichi sofisti e i classici, e il genere di scrittura di questi e di quelli. Gli uni affettavano di dir bene, e mostravano di affettarlo, gli altri dicevano bene per arte, ma non mostravano di {proccurarlo e} ricercarlo, {come però facevano.} Quanto allo stile, questi e quelli differivano notabilmente. Quanto a'  3474 concetti, alle sentenze, all'invenzione, alla condotta, all'ordine ec. non v'è divario alcuno. Si considerino attentamente i due predetti (nemici ambedue de' Sofisti), e tutti quelli che fra gli antichi cercarono e ottennero fama di bene scrivere; {#1. Aristotele p. e. non la cercò, ne Teofrasto ec.} e si vedrà che ne' loro concetti ec. tutto è sofistico. Nè anche bisognerà molta attenzione ad avvedersene. In Senofonte, particolare odiator de' sofisti, tanto perseguitati dal suo maestro, (v. la fine del Cinegetico) e a lui per se stesso abbominevoli; in Senofonte così candido e semplice e naturale che par tutto l'opposto possibile del sofistico, in Senofonte il sofistico de' concetti dà subito nell'occhio, tanto ch'io lo sentii notare con maraviglia a persona niente intendente nè di greco nè di letteratura antica, che avea non più che gittato l'occhio su certa traduzione di quell'autore. E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri e de' fuchi e d'ogni ornamento ascitizio e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista  3475 niente meno di quelli da lui derisi? E per quanto poco gli antichi generalmente pensassero, non è possibile a credere che i pensieri {e le osservazioni} di Socrate, di Senofonte, di Isocrate, di Plutarco (tanto più recente) e simili, non fossero al tempo di costoro medesimi, comuni e triviali e volgari (sieno politici, filosofici, morali o qualunque) o eccedessero la comune capacità di pensare, di trovare, di concepire, di osservare. Ma pochi sapevano esprimerli a quel modo, come ho detto di sopra.