[2381,1]
2381 Giovanette di 15. o poco più anni che non hanno
ancora incominciato a vivere, nè sanno che sia vita, si chiudono in un
monastero, professano un metodo, una regola di esistenza, il cui unico scopo
diretto e immediato si è d'impedire la vita. E questo è ciò che si procaccia con
tutti i mezzi. Clausura strettissima, fenestre disposte in modo che non se ne
possa vedere persona, a costo della perdita dell'aria e della luce, che sono le
sostanze più vitali all'uomo, e che servono anche, e sono necessarie alla
comodità giornaliera delle sue azioni, e di cui gode liberamente tutta la
natura, tutti gli animali, le piante, e i sassi. Macerazioni, perdite di sonno,
digiuni, silenzio: tutte cose che unite insieme nocciono alla salute, cioè al
ben essere, cioè alla perfezione dell'esistenza, cioè sono contrarie alla vita.
Oltrechè escludendo assolutamente l'attività, escludono la vita, poichè il moto
e l'attività è ciò che distingue il vivo dal morto: e la vita consiste
nell'azione; laddove lo scopo diretto della vita monastica anacoretica ec. è
l'inazione, e il guardarsi dal fare, l'impedirsi di fare. Così che la monaca o
il monaco
2382 quando fanno professione, dicono
espressamente questo: io non ho ancora vissuto, l'infelicità non mi ha
stancato nè scoraggito della vita; la natura mi chiama a vivere, come fa a
tutti gli esseri creati o possibili: nè solo la natura mia, ma la natura
generale delle cose, l'assoluta idea e forma dell'esistenza. Io però
conoscendo che il vivere pone in grandi pericoli di peccare, ed è per
conseguenza pericolosissimo per se
stesso, e quindi per se stesso
cattivo (la conseguenza è in regola assolutamente), son risoluto di
non vivere, di fare che ciò che la natura ha fatto, non sia fatto, cioè che
l'esistenza ch'ella mi ha dato, sia fatta inutile, e resa (per quanto è
possibile) nonesistenza. S'io non
vivessi, o non fossi nato, sarebbe meglio in quanto a questa vita presente,
perchè non sarei in pericolo di peccare, e quindi libero da questo male assoluto: s'io mi potessi
ammazzare sarebbe parimente meglio, e condurrebbe allo stesso fine; ma
poichè non ho potuto a meno di nascere, e la mia legge mi comanda di fuggir
la vita, e nel tempo stesso mi vieta di terminarla, ponendo la morte volontaria fra gli altri
peccati per cui la vita
2383 è pericolosa, resta che (fra tante
contraddizioni) io scelga il partito ch'è in poter mio, e l'unico degno del
savio, cioè schivare quanto io posso la vita, contraddire e render vana
quanto posso la nascita mia, insomma esistendo annullare quanto è possibile
l'esistenza, privandola di tutto ciò che la distingue dal suo contrario e la
caratterizza, e soprattutto dell'azione che per una parte è il primo scopo e
carattere ed uffizio ed uso dell'esistenza, per l'altra è ciò che v'ha in
lei di più pericoloso in ordine al peccare. E se con ciò nuocerò al mio ben essere, e mi abbrevierò
l'esistenza, non importa; perchè lo scopo di essa non dev'esser altro che
fuggir se medesima, come pericolosa; e l'essere non è mai tanto bene, quanto allorchè in qualunque maggior modo possibile è
lontano dal pericolo di peccare, cioè lontano dall'essere e dall'operare ch'è l'impiego dell'esistenza.
[3837,1]
3837 Il giovane che al suo ingresso nella vita, si
trova, per qualunque causa e circostanza ed in qual che sia modo, ributtato dal
mondo, innanzi di aver deposta la tenerezza verso se stesso, propria di
quell'età, e di aver fatto l'abito {e il callo} alle
contrarietà, alle persecuzioni e malignità degli uomini, agli oltraggi, punture,
smacchi, dispiaceri che si ricevono nell'uso della vita sociale, alle sventure,
ai cattivi successi nella società e nella vita civile; il giovane, dico, che o
da' parenti, come spesso accade, o da que' di fuori, si trova ributtato ed
escluso dalla vita, e serrata la strada ai godimenti (di qualsivoglia sorta) o
più che agli altri o al comune de' giovani non suole accadere; o tanto che tali
ostacoli vengano ad essere straordinari e ad avere maggior forza che non
sogliono, a causa di una sua non ordinaria sensibilità, immaginazione,
suscettibilità, {delicatezza di spirito e d'indole,}
vita interna, e quindi straordinaria tenerezza verso se stesso, maggiore amor
proprio, maggiore smania e bisogno di felicità e di godimento, maggior capacità
e facilità di soffrire, maggior delicatezza sopra ogni offesa, ogni danno,
ogn'ingiuria, ogni disprezzo, ogni puntura {ed ogni
lesione} del suo amor proprio; un tal giovane trasporta e rivolge bene
spesso tutto l'ardore {{e la {morale e
fisica}}} forza o generale della sua età, o particolare della
sua indole, o l'uno e l'altro insieme, tutta, dico, questa forza e questo ardore
che lo spingevano verso la felicità, l'azione, la vita, ei la rivolge a
proccurarsi l'infelicità, l'inattività, la morte morale.
3838 Egli diviene misantropo di se stesso e il suo maggior nemico,
egli vuol soffrire, egli vi si ostina, i partiti {più tristi,
più acerbi verso se stesso,} più dolorosi e più spaventevoli, e che
prima di quella sua poca esperienza della vita egli avrebbe rigettati con
orrore, divengono del suo gusto, ei li abbraccia con trasporto, dovendo
scegliere uno stato, il più monotono, il più freddo, il più penoso per la noia
che reca, il più difficile a sopportarsi perchè più lontano e men partecipe
della vita, è quello ch'ei preferisce, ei vi si compiace tanto più quanto esso è
più orribile per lui, egl'impiega tutta la forza del suo carattere e della sua
età in abbracciarlo, e in sostenerlo, e in mantenere ed eseguire la sua
risoluzione, e in continuarlo, {+e si
compiace fra l'altre cose in particolare nell'impossibilitarsi a poter mai
fare altrimenti, e nello abbracciar quei partiti che gli chiudano per sempre
la strada di poter vivere, o soffrir meno, perchè con ciò ei viene a ridursi
e a rappresentarsi come ridotto in uno estremo di sciagura, il che piace,
come altrove ho detto p. 313
pp. 2217-21 , e se
qualche cosa mancasse e potesse aggiungersi al suo male, ei non sarebbe
contento ec.} egl'impiega tutta la sua vita morale in abbracciare,
sopportare e mantenere {costantemente} la sua morte
morale, tutto il suo ardore in agghiacciarsi, tutta la sua inquietezza in
sostenere la monotonia e l'uniformità della vita, tutta la sua costanza in
scegliere di soffrire, voler soffrire, continuare a soffrire, {+tutta la sua gioventù in invecchiarsi
l'animo, e vivere esteriormente da vecchio, ed abbracciare e seguir
gl'istituti, le costumanze, i modi, le inclinazioni, il pensare, la vita de'
vecchi.} Come tutto ciò è un effetto del suo ardore e della sua forza
naturale, egli va molto al di là del necessario: se il mondo a causa di suoi
difetti o morali o fisici, o di sue circostanze, gli nega tanto di godimento,
egli se ne toglie il decuplo; se la necessità l'obbliga a soffrir tanto, egli
elegge di soffrire dieci volte di più; se gli nega un bene ei se ne interdice
uno assai maggiore; se gli contrasta qualche godimento, egli si priva di tutti,
e rinunzia affatto al godere.
[4103,6]
Il est
aisé de voir la prodigieuse révolution que cette époque
*
(celle
du Christianisme) dut produire dans les mœurs. Les
femmes, presque toutes d'une imagination vive et d'une ame ardente, se
livrèrent à des vertus qui les flattoient d'autant plus, qu'elles
étoient pénibles. Il est presque égal pour le bonheur de satisfaire de
grandes passions, ou de les vaincre. L'ame est heureuse par ses efforts;
et pourvu qu'elle s'exerce, peu lui importe d'exercer son activité
contre elle - même.
*
Thomas
Essai sur les Femmes.
Oeuvres, Amsterdam 1774. tome 4.
p. 340. (24. Giugno. Festa di S. Giovanni Battista.
1824.).
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