[716,1] Ma bisogna osservare che di rado avviene che la gioia
ancorchè grande e straordinaria, ci renda attoniti, e quasi senza senso, e che
la sua grandezza ne renda impossibile il pieno e distinto sentimento. Questo ci
accadeva forse e senza forse da fanciulli, e sarà pure senza fallo avvenuto
negli uomini primitivi; ma oggidì per poco che l'uomo abbia di esperienza e di
cognizione, è ben difficile che sia suscettibile di una gioia, la quale sia
tanta da non poter essere contenuta pienamente nell'animo suo, e da ridondare.
Bensì egli è suscettibilissimo (almeno il più degli uomini) di un tal dolore. Ma
la somma gioia dell'uomo di oggidì, è sempre o certo ordinariamente tale che
l'animo n'è capacissimo; e questo, non ostante ch'egli vi debba necessariamente
esser poco assuefatto, laddove quanto al dolore o a qualunque passione
dispiacevole, non è così. Ma il fatto
717 sta che il
male, soggetto del dolore e delle passioni dispiacevoli, è reale; il bene,
soggetto della gioia, non è altro che immaginario: e perchè la gioia fosse tale
da superare la capacità dell'animo nostro, si richiederebbe, come ne' fanciulli
e ne' primitivi, una forza e freschezza d'immaginazione persuasiva, e
d'illusione, che non è più compatibile colla vita di oggidì. (4. Marzo
1821.).
[2161,1] Ma questi effetti miseramente poetici, miseramente
(e anche languidamente) vivi, sono passeggeri, anzi momentanei, perchè un tal
uomo, malgrado la grandezza della sventura nuova, ricade assai presto nel
letargico stato di rassegnazione. E però gli è necessario il poetare nell'atto
stesso della sventura, ovvero egli non è e non si sente poeta, ed eloquente, se
non in quell'atto (contro ciò che accade in ogni altro caso); temperandosi il
senso attuale della sventura, colla sua radicata abitudine di soffrire, di
tollerare, e di {affogare, addormentare,} scuotere il
dolore, in modo che di queste due qualità o affezioni, {o
disposizioni,} si viene a fare uno stato bastantemente adattato alle
emozioni sentimentali, ed alla poesia ec.
[2434,2] Che le passioni antiche fossero senza comparazione
più gagliarde delle moderne, e gli effetti loro più strepitosi, più risaltati,
più materiali,
2435 più furiosi, e che però
nell'espression loro convenga impiegare colori e tratti molto più risentiti che
in quella delle passioni moderne, è cosa già nota e ripetuta pp. 76.
sgg. Ma io credo che una differenza notabile bisogni fare tra le varie
passioni, appunto in riguardo alla maggiore o minor veemenza loro fra gli
antichi e i moderni comparativamente; e per comprenderle tutte sotto due capi
generali, io tengo per fermo (come fanno tutti) che il dolore antico fosse di
gran lunga più veemente, più attivo, più versato al di fuori, più smanioso e
terribile (quantunque forse per le stesse ragioni più breve) del moderno. Ma in
quanto alla gioia, ne dubiterei, e crederei che, se non altro in molti casi,
ella potesse esser più furiosa e violenta presso i moderni che presso gli
antichi, e ciò non per altro se non perch'ella oggidì è appunto più rara e breve
che fosse mai, come lo era nè più nè meno il dolore anticamente. Questa
osservazione potrebbe forse servire al tragico, al pittore, ed altri imitatori
delle passioni. Vero è che nel fanciullo e la gioia e il dolore sono del pari
2436 più violenti, ed altresì per la stessa ragione
più brevi che nell'adulto. Ed è vero ancora che l'abitudine dell'animo de'
moderni li porta a contenere dentro di se, ed a riflettere sullo spirito, senza
punto o quasi punto lasciarla spargere ed operare al di fuori, qualunque più
gagliarda impressione e affezione. Contuttociò credo che la detta osservazione
possa essere di qualche rilievo, massime intorno alle persone non molto o non
interamente colte e disciplinate, sia nella vita civile, sia nelle dottrine e
nella scienza delle cose e dell'uomo; e intorno a quelle che dall'esperienza e
dall'uso della vita, della società, e de' casi umani non sono {stati} bastantemente ammaestrati ad uniformarsi col
generale, nè accostumati a quell'apatia e noncuranza di se stesso e di tutto il
resto, che caratterizza il nostro secolo. (9. Maggio. 1822.).
[2808,1] Da queste considerazioni si argomenti se
2809 sia giusto il dire che l'uso del coro nuoce
all'illusione. Qual grata illusione senza il vago e l'indefinito? E qual dolce
{grande} e poetica illusione doveva nascere dalle
circostanze sovra esposte! (21. Giugno. 1823.). {+Nelle commedie la moltitudine serve altresì
all'entusiasmo e al vago della gioia, alla βακχείᾳ, a dar qualche
apparente e illusorio peso alle cagioni sempre vane e false che noi
abbiamo di rallegrarci e godere, a strascinare in certo modo lo
spettatore nell'allegrezza e nel riso, come accecandolo, inebbriandolo,
vincendolo coll'autorità della vaga moltitudine.}
{{V. p.
2905.}}
[2905,1]
Alla p. 2809.
Nelle nostre Opere serie e buffe,
l'effetto del coro non è cattivo. Ma esso nelle opere serie è ben lontano dal far quegli uffici, dal
sostener quel personaggio, e quindi dal muovere quelle illusioni e far quegli
effetti che faceva nelle tragedie antiche: ond'è ch'esso riesce forse meglio
nelle opere buffe, quanto all'effetto
morale, giacchè muove pure all'allegria, e fa come l'uffizio, così l'effetto che
produceva nelle antiche commedie, nè il muovere all'allegria, ch'è pure una
passione, è piccolo effetto morale. Laddove nelle opere serie esso non interessa quasi che gli occhi e gli
orecchi, e niuna passione ancorchè menoma nè desta nè pur tocca. Ma questo è pur
troppo il general difetto di tutta l'Opera, e massime della seria, e nasce dal far totalmente servir le
parole allo spettacolo e alla musica, e dalla confessata nullità d'esse parole,
dalla qual necessariamente deriva la nullità de' personaggi, e
2906 così del coro, e quindi la mancanza d'effetto
morale, ossia di passione; se non altro la molta scarsezza, rarità, languidezza,
e poca durevolezza dell'uno e dell'altra.
[3310,1] Altra prova delle proposizioni da me esposte nel
principio di questo pensiero, può essere, fra le mille, la seguente. Qual uomo
civile udendo, eziandio la più allegra melodia, si sente mai commuovere ad
allegrezza? non dico a darne segno di fuori, ma si sente pure internamente
rallegrato, cioè concepisce quella passione che si chiama veramente gioia? Anzi
ella è cosa osservata che oggidì qualunque musica generalmente, anche non di rado le allegre, sogliono
ispirare e muovere una malinconia, bensì dolce, ma ben diversa dalla gioia; una
malinconia ed una passion d'animo che piuttosto che versarsi al di fuori, ama
anzi per lo contrario di rannicchiarsi, concentrarsi, e ristringe, per così
dire, l'animo in se stesso quanto più può, e tanto più quanto ella è più forte,
e maggiore l'effetto
3311 della musica; un sentimento
che serve anche di consolazione delle proprie sventure, anzi n'è il più efficace
e soave medicamento, ma non in altra guisa le consola, che col promuovere le
lagrime, e col persuadere e tirare dolcemente ma imperiosamente {a piangere i propri mali} anche, talvolta, gli uomini i
più indurati sopra se stessi e sopra le lor proprie calamità. In somma
generalmente parlando, oggidì, fra le nazioni civili, l'effetto della musica è
il pianto, o tende al pianto (fors'anche talor di {piacere e
di} letizia, ma interna e simile quasi al dolore): e certo egli è
mille volte piuttosto il pianto che il riso, col quale anzi {ei} non ha mai o quasi mai nulla di simile. Questi effetti della
musica su di noi ci paiono sì naturali, sì spontanei ec. ec. che non pochi
vorranno e vogliono che sia proprio assolutamente della natura umana l'essere in
tal modo affetti dall'armonia e dalla melodia musicale.
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