Troppo (il) è padre del nulla.
Too much is father of nothing.
Vedi Volontà intensa. See Intense wish. 714,1 1176,1 1260,2 1653,2 1776,2 2274,1 2478 2656,3 3951 4026,6[714,1]
714 Spesse volte il troppo o l'eccesso è padre del
nulla. Avvertono anche i dialettici che quello che prova troppo non prova
niente. Ma questa proprietà dell'eccesso si può notare ordinariamente nella
vita. L'eccesso delle sensazioni o la soprabbondanza loro, si converte in
insensibilità. Ella produce l'indolenza e l'inazione, anzi l'abito ancora
dell'inattività negl'individui e ne' popoli; e vedi in questo proposito quello
che ho notato con Mad. di Staël, Floro ec. p. 620 fine - 625 principio. Il poeta nel colmo
dell'entusiasmo, della passione ec. non è poeta, cioè non è in grado di poetare.
All'aspetto della natura, mentre tutta l'anima sua è occupata dall'immagine
dell'infinito, mentre le idee segli affollano al pensiero, egli non è capace di
distinguere, di scegliere, di afferrarne veruna: in somma non è capace di nulla,
nè di cavare nessun frutto dalle sue sensazioni: dico nessun frutto o di
considerazione e di massima, ovvero di uso e di scrittura; di teoria nè di
pratica. L'infinito non si
715 può esprimere se non
quando non si sente: bensì dopo sentito: e quando i sommi poeti scrivevano
quelle cose che ci destano le ammirabili sensazioni dell'infinito, l'animo loro
non era occupato da veruna sensazione infinita; e dipingendo l'infinito non lo
sentiva. {I sommi dolori corporali non si sentono, perchè o
fanno svenire, o uccidono.} Il sommo dolore non si sente,
cioè finattanto ch'egli è sommo; ma la sua proprietà, e[è] di render l'uomo attonito; confondergli, sommergergli,
oscurargli l'animo in guisa, ch'egli non conosce nè se stesso, nè la passione
che prova, nè l'oggetto di essa; rimane immobile, e senza azione esteriore, nè
{si può dire}, interiore. E perciò i sommi dolori
non si sentono nei primi momenti, nè tutti interi, ma nel successo dello spazio
e de' momenti, e per parti, come ho detto p. 366. - 368. Anzi non solo il sommo dolore, ma ogni somma passione,
ed anche ogni sensazione, ancorchè non somma, tuttavia tanto straordinaria, e,
per qualunque verso, grande, che l'animo nostro non sia capace di contenerla
716 tutta intera simultaneamente. Così sarebbe anche la
somma gioia.
[1176,1] Ho detto altrove p. 714 che il
troppo, spesse volte è padre del nulla. Osserviamolo ora nel genio e nelle
facoltà della mente. Certi ingegni straordinarissimi che la natura alcune volte
ha prodotti quasi per miracolo, sono stati o del tutto o quasi inutili, appunto
a cagione della soverchia forza o del loro intelletto o della loro
immaginazione, che finiva nel non potersi risolvere in nulla, nè dare alcun
frutto determinato.
[1260,2] A quello che altrove pp. 461-62
pp.
714-16 ho detto circa l'impossibilità di far bene quello che si fa con
troppa cura, si può aggiungere quello che dice l'Alfieri
{nella sua Vita} della matta attenzione ch'egli poneva a tutte le minuzie nelle
sue prime letture e studi de' Classici: e quello che ci avviene p. e. nello
studio delle lingue. Nel quale osservate che da principio per la somma
attenzione che ponete a ogni menoma cosa, leggendo in quella tal lingua, vi
riescono gli scrittori sempre (più o meno) difficili. Laddove bene spesso, se si
dà il caso, che
1261 voi abbiate intralasciato per
qualche tempo lo studio di quella lingua, e perduto l'abito di quella minuta
attenzione, ripigliando poi a leggere in detta lingua qualche pagina, e credendo
di trovarci maggior difficoltà per l'interrompimento dell'esercizio, vi trovate
al contrario molto più spedito di prima. Così pure, senza averla intralasciata,
ma solamente pigliando a leggere qualche cosa in detta lingua non con animo di
studio o di esercizio, ma solo di passare il tempo, o divertirvi, o in qualunque
modo con intenzione alquanto, più o meno, rilasciata. Così dopo avere o credere
di aver già imparata quella lingua, quando leggiamo non più come scolari, ma
disinvoltamente e come semplici lettori. Nel qual tempo trovando forse
difficoltà reali maggiori di quando leggevamo per istudio, non ci fanno gran
caso, nè c'impediscono {e trattengono} più che tanto,
nè ci tolgono una spedita facilità. In somma non si arriva mai a leggere
speditamente una lingua nuova, se non quando si lascia l'intenzione di studioso
per prendere quella di lettore, e durando la prima, solamente per sua cagione,
ed anche senza veruna difficoltà reale,
1262 si trovano
sempre intoppi, che altri non troverà nelle stesse circostanze, e colla stessa
perizia, ma con diversa intenzione. {Così non si trova piacere, nè facilità, nella semplice lettura, anche
in nostra lingua, quando si legge con troppo studio ec.}
({1-2.} Luglio 1821.).
[1653,2] Ho detto altrove p. 714
pp. 1176-79 che il troppo
produce il nulla, e citato le eccessive passioni e le estreme sventure, {il pericolo presente e inevitabile che dà una forza e
tranquillità d'animo anche al più vile, una disgrazia sicura e che non può
fuggirsi ec.} che non producono già l'agitazione, ma l'immobilità, la
stupidità, una specie di rassegnazione non ragionata; in maniera che l'aspetto
dell'uomo in tali casi è bene spesso affatto simile a quello dell'indifferente:
ed un bravo pittore non lo farebbe distinguere dall'uomo il più noncurante ec.
{+eccetto per un'aria di meditazione
stupida, ed una fissazione di occhi in qualsivoglia parte.} Aggiungo
1654 ora che ciò non si deve solamente restringere
all'atto, ma anche all'abito d'indifferenza, rassegnazione alla fortuna,
insensibilità ec. che è prodotto dall'estrema infelicità e disperazione abituale
ec. e puoi vedere la p. 1648.
(8. Sett. 1821.).
[1776,2] Ho detto altrove: pp. 461-62
pp. 658-59
pp. 1260-62
p.
1554 non si può fare, quello che troppo si vuol fare. Perciò
giornalmente si osserva che una cosa sfugge alla memoria nel punto ch'ella si
vuol ricordare,
1777 e se le offre spontaneamente
quando non ce ne curiamo. Infatti ogni volta che con soverchia contenzione di
mente ci mettiamo per richiamarci una ricordanza la più presente, e che ci
sovverrà forse poco dopo, possiamo esser sicuri di non ritrovarla, finchè non
abbiamo cessato di cercarla. Nel qual punto medesimo bene spesso ella ci
sovviene. {+Così noi ci
ricordiamo sempre di quel che ci siamo prefisso o che abbiamo desiderato
di dimenticare, e ce ne ricordiamo nel tempo che appunto non
volevamo.}
[2274,1] Se tu prendi a leggere un libro qualunque, il più
facile ancora, o ad ascoltare un discorso il più chiaro del mondo, con
un'attenzione eccessiva, e con una smodata contenzione di mente; non solo ti si
rende difficile il facile, {+non solo ti
maravigli tu stesso e ti sorprendi e ti duoli di una difficoltà non
aspettata,} non solo tu stenti assai più ad intendere, di quello che
avresti fatto con minore attenzione, non solo tu capisci meno, ma se
l'attenzione e il timore di non intendere o di lasciarsi sfuggire qualche cosa,
è propriamente estremo, tu non intendi assolutamente nulla, come se tu non
leggessi, e non ascoltassi, e come se la tua mente fosse del tutto intesa ad
un'[un] altro affare: perocchè dal troppo
viene il nulla, e il troppo attendere ad una cosa equivale effettivamente al non
2275 attenderci, e all'avere un'altra occupazione
tutta diversa, cioè la stessa attenzione. Nè tu potrai ottenere il tuo fine se
non rilascerai, ed allenterai la tua mente, ponendola in uno stato naturale, e rimetterai, ed appianerai
la tua cura d'intendere, la quale solo in tal caso sarà utile. (22. Dic.
1821.). {{v. p.
2296.}}
[2478,1]
2478 Tant'è. Secondo l'osservazion del Democrito Britanno Bacon da Verulamio tutte le facoltà ridotte ad arte
steriliscono, perchè l'arte le circonscrive.
*
(Gravina, Della Tragedia, cap. 40. p.
70. principio.). L'arte si trova sempre e perfezionata (ovvero
inventata e formata), e divulgata e conosciuta da tutti, in quei tempi nei quali
meno si sa metterla in pratica. A tempo d'Aristotele non v'erano grandi poeti {greci:}
l'eloquenza romana era già spirata a tempo di Quintiliano (il quale forse, in quanto al modo di
fare, se n'intendeva più di Cicerone).
Lo stesso saper quel che va fatto è cagione che questo non si sappia fare. {Anche qui si verifica che
il troppo è padre del nulla, e che il voler fare è causa di non potere,
ec. ec.} Gli scrupoli, i dubbi, i timori di cader ne'
difetti già ben conosciuti ec. ec. legano le mani allo scrittore, e i più se ne
disperano, e non seguendo nè i precetti dell'arte, nè essendo più a tempo di
seguir la natura propria già in mille modi distorta, stravolta, e alterata
dall'arte, scrivono, come vediamo, pessimamente, benchè sappiano ottimamente
quel che s'abbia da fare a scriver bene. (15. Giugno. 1822).
[2656,3]
Καὶ τῷ ὄντι τὸ ἄγαν τὶ
ποιεῖν, μεγάλην ϕιλεῖ εἰς τοὐναντίον μεταβολὴν ἀνταποδιδόναι, ἐν ὥραις
τε καὶ ἐν ϕυτοῖς καὶ ἐν σώμασι, καὶ δὴ καὶ ἐν πολιτείαις οὐχ
ἥκιστα.
*
{+Plato
de rep. l. 8. p. 563.}
Il qual luogo è riportato da Cic.
de rep. I. 44. p. 111-12. (citato il
2657 nome di Platone fin dal c. preced. p. 107), esprimendolo liberamente
così: Sic omnia nimia, cum vel in tempestate vel in
agris vel in corporibus laetiora fuerunt, in contraria fere
convertuntur, maximeque
*
(suppl. cum Maio, id) in rebus publicis
evenit
*
. Le quali sentenze fanno a quella mia, che il
troppo è padre del nulla pp. 461-62
pp. 658-59
p.
714
pp. 1260-62
p. 1554
p.
1776. In fatti, come seguono a dire Cic. e Plat. dalla troppa
libertà nasce la servitù, cioè, dicon essi, il contrario della libertà, ed io
dico, il nulla della libertà, cioè la fine; la niuna libertà. (19. Dic.
1822.).
[3950,2] Non si dà ricordanza senza previa attenzione, ec.
come altrove pp. 1733-37
pp. 2110-12
pp. 2378-81
p.
3737. Questa è una delle principali cagioni per cui i fanciulli, in
principio massimamente, stentano molto a mandare a memoria, e più degli uomini
maturi, o giovani. Perocchè essi sono distratti e poco riflessivi ed attenti,
per la stessa moltiplicità di cose a cui attendono, e facilità, rapidità e forza
con cui la loro attenzione è rapita continuamente da un oggetto all'altro. Gli
uomini distratti, poco riflessivi ec. non imparano mai nulla. Ciò non prova la
lor poca memoria, come si crede, ma la lor poca o facoltà o abitudine di
attendere, o la moltiplicità delle loro attenzioni, il che si chiama
distrazione. Perocchè la stessa troppa facilità di attendere a che che sia, o
per natura o per abitudine, la stessa suscettibilità della mente di esser
vivamente affetta e rapita da ogni sensazione, da ogni pensiero; moltiplicando
le attenzioni, e rendendole tutte deboli, sì per la moltitudine, {{e confusione,}} sì per la necessaria brevità di
ciascuna,
3951
{da cui} ogni piccola cosa distoglie l'animo,
applicandolo a un altro, e per la forza stessa con cui questa seconda attenzione
succede alla prima, cancellando la forza di questa, rende nulla o scarsissima la
memoria, deboli e poche le reminiscenze. E così la stessa facilità e forza
eccessiva di attendere produce o include l'incapacità di attendere, e così suol
essere chiamata, benchè abbia veramente origine dal suo contrario, cioè dalla
troppa capacità di attendere (come sempre il troppo dà origine o equivale e
coesiste al nulla o alla sua qualità o cosa contraria); e l'eccesso della
facoltà di attendere si riduce alla mancanza o alla scarsezza di questa facoltà,
secondo che detto eccesso è maggiore o minore. Ciò ha luogo principalmente, per
regola e ordine di natura, ne' fanciulli. - Laddove una sensazione ec. una sola
volta ricevuta ed attesa, basta {{sovente}} alla
reminiscenza anche più viva, salda, chiara, piena e durevole, essa medesima
mille volte ripetuta e non mai attesa non basta alla menoma reminiscenza, o solo
a una reminiscenza debole, oscura, confusa, scarsa, manchevole, breve e
passeggera. Perciò venti ripetizioni non bastano a chi non attende per fargli
imparare una cosa, che da chi attende è imparata talora dopo una sola volta, o
con pochissime ripetizioni estrinseche ec. (7. Dec. Vigilia della
Concezione. 1823.).
[4026,6] La eccessiva potenza di attenzione è al tempo stesso
e per se medesima, potenza di distrazione, perchè ogni oggetto vi rapisce
facilmente e potentemente la attenzione distogliendola dagli altri, e
l'attenzione si divide; sicchè è anche, per se medesima, impotenza o difficoltà
di attenzione, e facilità di attenzione, cose contrarie dirittamente a lei, onde
sembra impossibile ch'ella sia insieme l'uno e l'altro, ma il troppo è sempre
padre del nulla o volge al {suo} contrario, come
altrove pp. 714-17
pp. 1176-79
pp.
1260-61
pp.
1653-54
pp. 1776-77
pp.
2274-75
p.
2478
pp.
3950-51. Quindi principalmente nasce la incapacità di attenzione ne'
fanciulli ec. ec. (9. Feb. 1824.).
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